25 Aprile
Avendo dribblato, con somma audacia, sfilate e
discorsi, mi sono meritato un giro in bici in solitudine. Breve solitudine. Due
occhi blu mi aspettano tra quarantacinque minuti. Non un minuto di più, magari
dieci di meno. Blu inflessibile. Il quotidiano che ho acquistato pochi minuti
fa è piegato e strizzato da una molla sul portapacchi, dietro la mia sella nera
e comoda. La strada deserta in terra battuta è quasi bianca attraversata
velocemente da ombre scure ed irregolari. Nuvole veloci mi sorpassano mentre
schermano il sole appena tiepido. Potrei pedalare per giorni correndo dietro le
nuvole. Dove andrei a finire?
Seguo le nuvole rapide che scivolano verso sud, tra
le risaie. Le riempiono un pò alla volta, a turno o ed estrazione o con
prepotenza, non so, non mi interessa questo surrogato di mare. Mi rilassa
osservarle, ordinate, squadrate, immutabili, a volte anche colorate come quadri
di un Mondrian naturalista. Questo si, lo concedo, ma sono senza respiro, come
corpi morti, perfettamente conservati, ma morti. Lo so che non è così, la
risaia vive, sotto il pelo dell'acqua e tra le rogge, tra i filari
d'alberi e i boschetti che a volte riparano case dai muri screpolati. Vive di
una sua vita propria che in questa primavera piovosa si sveglia lentamente. Me
ne accorgo anche ora che la vita palpita tra questi quadrati e rettangoli
d'acqua. Ombre più piccole e veloci di quelle delle nuvole già rapide
incrociano la mia pedalata e mi costringono ad alzare la testa. Uccelli,
piccoli e grandi, silenziosi, alcuni aironi grigi dal battito d'ali pigro che insegnano la
pazienza a chi li osserva. E io, invece, non ho pazienza. Pedalo con la mia
amata bici, pedalo per respirare aria aperta che aggira gli alberi, sfiora
l'acqua e spinge le nuvole rapide. Pedalo e lungo la strada bianca non c'è
nulla almeno per un altro chilometro: nessuna auto, nessuna bici, nessun
bipede. Sono solo al mondo. Che fortuna! Poi lo vedo, una macchia scura sul
bordo destro della strada. Due secondi fa non c'era, ora è li questa macchia
che comincia ad avere un contorno via via più definito. Ora distinguo una
coda, testa tonda e orecchie aguzze, un gatto, un grosso gatto, un gatto grasso
direi, e scuro. No, non completamente scuro. Sul petto dell'animale ora
distinguo una grossa chiazza bianca e al centro della macchia dondola qualcosa,
un pendaglio, forse, forse una campanella. Oramai sono a pochi metri, adesso
scapperà. Invece no, si sposta leggermente più al centro della strada, come se
mi volesse sbarrare il passo e si mette a leccarsi la zampa destra come se non
esistessimo, io e la mia bici. Io non amo particolarmente i gatti, trovo
la loro bellezza noiosa e il loro disinteresse per gli altri esseri viventi
fastidioso. Ma questo gatto ha due occhi gialli che mi guardano mentre rallento
e mi fermo davanti a lui poggiando la mia gamba destra per terra. Lo
guardo anche io incrociando le braccia: " Che c'è gatto? Voglia di
litigare?".
Lui smette di leccarsi e mi si avvicina. La
sua zampa destra deve essere ferita, la appoggia appena, direi che zoppica. E' un gratto grasso e zoppicante. Si
struscia alla mia gamba su cui sento la sua lunga coda, poi si ferma sul retro
della mia bici guardando il portapacchi e il mio giornale. Poi fissa i suoi
occhi gialli nei miei. O vuole ipnotizzarmi o vuole mandarmi un messaggio
telepatico. Non c'è bisogno, l'ho capito che questo gatto di campagna è
abituato a parlare con gli uomini. Vuole un passaggio. Semplice. Lo sollevo a
fatica e lo sistemo accovacciato sul portapacchi dopo aver tolto il quotidiano.
"Ehi grassone…" gli faccio perché mi sembra un maschio "sei
pesante quindi vedi di startene buono”.
E cosi ricomincio a pedalare sotto nuvole rapide
tra stagni quadrati. Incredibile! Mentre pedalo mi volto un attimo e vedo gli
occhi gialli del gatto socchiusi nel venticello provocato dalla velocità della
mia pedalata. " Te la godi vecchio grassone? Tra un po’ torno indietro, ti
avviso !". Non solo porto sul mio
portapacchi un grasso gatto scuro e sconosciuto, ma ci parlo anche. Devo
sentirmi molto solo. O magari è naturale parlare con altre creature viventi nel
bel mezzo del niente.
Poi lo vediamo. Io e il gatto intendo. E' al centro
del prossimo campo allagato. Rallento e mi fermo. Uno splendido airone bianco
affonda il suo becco nell'acqua per un secondo, poi si mostra in tutta la sua bellezza a pochi
metri da noi, da me e il gatto grasso che viaggia sul portapacchi. Non respiro,
come se potessi diventare invisibile e ammirare quella nuvola bianca di piume bloccata
a terra. Guardo l'animale e il suo riflesso tremolante nell'acqua. Una piccola
folata di vento arruffa le piume sulla sua testa, ma lui non si scompone. I
suoi occhi rotondi sembrano vedere tutto ed essere indifferenti a tutto,
anche a me e al gatto. Siamo vicini tutti e tre, ma nessuno si muove,
come per un tacito patto di non belligeranza, una tregua, proprio oggi che la
guerra è finita. Un'altra piccola folata di vento sembra svegliare l'airone dai
suoi pensieri. Muove il lungo collo, sembra inspirare e poi apre di scatto le
sue grandi ali e spicca il volo. La sua ombra ci oscura un attimo, sento lo
spostamento d'aria sul mio viso, come un saluto. Il gatto sul portapacchi ha
allungato il collo e segue il volo dell'airone che sparisce dietro una
linea di alberi dopo aver sorvolato un altro paio di campi. Restiamo fermi per
qualche secondo, io e il gatto. Poi ricomincio a pedalare senza pensare. Il
gatto si riacciambella sul portapacchi. Pedalo mentre altre nuvole rapidamente
attraversano la mia strada, mi sorpassano, mi deridono quasi. Devo tornare
indietro. Arrivo ad un bivio: a destra case sparse, a sinistra case meno
sparse.
"Gatto, io torno indietro, scendi!"
Il gatto mi capisce e rapidamente me lo ritrovo
accanto alla ruota anteriore. Mi guarda, lo interpreto come un ringraziamento,
poi si volta e trotterella via ancheggiando come una vecchia signora
sovrappeso. Non sembra che la zampa gli faccia più male. Un pensiero mi sfiora:
forse aveva voglia anche lui di farsi un giro in bici. Gatto maledetto. Ritorno
indietro, stavolta correndo incontro alle nuvole rapide della mia
giornata.