La vita di un uomo è tutta scritta nel suo portachiavi. Ci sono appese le chiavi di casa, quelle dell’auto, quelle dell’ufficio o dell’officina, le chiavi dei cassetti chiusi e le chiavi che non aprono nessuna porta.
Nelle sue tasche c’è soltanto la chiave della camera d’albergo.
La pioggia è appena finita e solo alcune nubi scivolano verso ovest tirandosi dietro il buio precoce di settembre come una coperta. Vanno ad affogare il sole nel mare piatto e sporcano l’acqua di rosso. Le ultime gocce scivolano dalle vecchie grondaie esauste del palazzo liberty diventato albergo trent’anni fa. Il suo vecchio proprietario, il signorino Felice M., era uno dei più accaniti viziosi della regione e tra puttane e cari amici aveva cercato la felicità promessa ed aveva perso tutto il denaro. Suo padre , il cavaliere Giuseppe Alberto M., e suo nonno Antonio M. ancor prima, avevano accumulato soldi rovinando povera gente ed andando a messa ogni domenica. Il signorino Felice a messa ci andava solo a Natale e a Pasqua, e per questo si era rovinato. La sua stanza era all’ultimo piano del bel palazzo in riva al mare, con una grande vetrata incorniciata da due cariatidi dai seni turgidi e imbruniti dal tempo. Svegliandosi ogni giorno nella tarda mattinata, il signorino Felice guardava la spiaggia e l’orizzonte ripromettendosi sempre di cambiare vita ed amici. Da dietro quella vetrata ora un altro uomo guarda la stessa spiaggia e lo stesso orizzonte. Osserva alcuni gabbiani che timidamente ricominciano a volare in cerchi bassi e lenti.
Gli sono sempre piaciuti i gabbiani. Bianchi ed indolenti. Li aveva osservati tante volte galleggiare nel sole a pochi metri dalla riva. Da bambino se li immaginava come placidi ragionieri in vacanza coperti di creme per abbronzarsi velocemente o non abbronzarsi affatto. Li aveva visti tante volte distendere le ali e prendere il volo dall'ozio delle onde prima uno alla volta e poi due, tre, dieci tutti insieme in un crescendo di grida, schizzi d'acqua e aria compressa sotto le ali, un turbine bianco sul mare. La loro sincronia lo meravigliava sempre. Mai nessuna delle migliaia di traiettorie coincidente con un’ altra, mai, ognuno solo nel volo eppure insieme agli altri. I gabbiani, richiamati all'azione da qualche invisibile sentinella, si chiamavano tra loro con lunghe grida acute, nomi forse. Ha sempre immaginato che in quel bailamme i padri rimproverassero i figli per la loro lentezza e che i fratelli e gli amici si organizzassero tra loro per non perdersi di vista nella battaglia, lì sulla scia delle barche che tornavano al porto dopo la pesca. Li vede ancora i gabbiani feroci lanciarsi verso la poppa delle imbarcazioni per avere cibo e fermarsi poco prima di colpire il legno salmastro, allargando le ali e gridando immonde minacce ai pescatori. Vede ancora nuvole bianche ancorate a barche dagli scafi verdi e rossi e battezzate Maria o Antonietta II passare lentamente sotto un ponte di ferro grigio, passare nei suoi occhi di bambino, e negli occhi dei marinai, statue di sale a guardia del vecchio castello aragonese. Ma i marinai guardavano e non vedevano, persi nel conto delle ore che li separavano dalla fine della loro pubblica prigionia.
-Fottuto maresciallo cornuto sette volte, ancora 677 ore e poi te ne vai a fare in culo...-
I gabbiani non sapevano e non sanno nulla dei pensieri degli uomini, volano e basta. Eppure... eppure a volte gli era sembrato che lo venissero a prendere dalla stazione triste e sempre piena di gente che partiva e si abbracciava. Spesso gli era sembrato che volandogli sopra in cerchi alti lo annunciassero alle donne brune dagli occhi crudeli e con il battito delle ali gli portassero l’odore del pane caldo e l’aroma del caffé appena fatto. Gli era capitato di sognare di essere un gabbiano, felice di mangiare pesce puzzolente e di guardare dall'alto il mondo. Guardava con i loro occhi le barche a vela che zigzagavano in mare, troppo pesanti per volare e che affogavano tentando di aggrapparsi al cielo con un'ala sola. Poi si era risvegliato nel suo letto, senza ali, da solo o in compagnia di donne profumate dai capelli di colore sempre diverso. Pazienza.
-Nessuno gabbiano mi porterà più a sud- aveva pensato. Ed invece eccolo li.
Il portachiavi dell'albergo pesa ora nella tasca ed è freddo al tocco. Non resta che telefonare. Il telefono è accanto al letto e non c’entra niente con il resto dell’arredamento, vecchi mobili di ciliegio, lucidi e rossastri. La cornetta bianca è pesantissima.
Seduto sul letto comincia a comporre il numero, schiacciando i tasti in maniera automatica e sperando di non sbagliare. Sembra che il coraggio non si trovi ancora al supermercato.
Una voce femminile in attesa dall’altro capo del filo.
-Pronto?-
-Ciao, sono io-
-Dio santo, dove diavolo sei?! Dove ti sei cacciato?!-
- Sono in un albergo. E’ molto bello, in riva al mare-
- Ma dimmi dove sei, stai bene?-
-Si, si, stò benone-
Può vederla mentre stringe la cornetta con tutte e due le mani come per trattenerlo per un braccio. Sicuramente con gli occhi indica a qualcuno l’altro telefono nella camera da letto. Le pupille sono dilatate come quando è arrabbiata o gode.
-Ti prego, ascoltami-
-Sì, sì amore, ti ascolto, ma tu non chiudere, ti prego non chiudere. Dimmi dove sei, ti vengo a prendere-
Se la immagina al volante, lungo l'autostrada. Lei, il suo gabbiano, che viene a salvarlo e, per il tempo di una sistole, decide di dirle di si. La diastole successiva lo sorprende nel vuoto.
-Sono in un posto bellissimo. Mi piacerebbe che tu ci fossi, mi piacerebbe fare l’amore. C'é un tramonto bellissimo e ci sono i gabbiani-
-Vengo da te, dimmi dove sei-
-No, lascia stare, non importa, non importa più-
-Amore, perché non me lo hai detto?-
-Cosa ti avrei dovuto dire, che cosa? E come, poi? Tanto era inutile-
-No, dovevi dirmelo, avremmo fatto qualcosa, qualsiasi cosa, ne avevo diritto, Cristo, ne ho diritto io, cosa credi, eh?-
-Smettila, smettila, mi dispiace, non volevo ferirti ...-
Sa che lei sta piangendo, lo sente dal silenzio, la vede mordersi le labbra per non singhiozzare. A volte sembra una bambina, una bella bambina.
-Ascolta...io ho preferito non dirti nulla, ho pensato di andare via e basta...-
-Si, il solito egoista, bravo, signor so tutto io, faccio io, non ti preoccupare! Sai cosa sei eh? Sei un fottuto bastardo egoista, ecco cosa sei, come sempre...ma perchè dico io, perchè ti tieni sempre tutto dentro, anche queste cose, perché, perché...-
Adesso grida e piange, piange e non riesce più a parlare mentre lui, rannicchiato sul letto, guarda fuori dalla vetrata.
-Amore mio, ascolta...mi dispiace, avrei voluto che tu non lo sapessi mai-
-Ma cosa dici?! Sei impazzito? Ha telefonato il tuo amico medico, quell’imbecille...ti cercava ed aveva la voce preoccupata... allora gli ho chiesto che cosa era accaduto. Ha cominciato a parlare del segreto professionale ed altre palle, poi gli ho detto che eri sparito da due giorni e mi ha detto tutto. Ma lo sai come mi sono sentita? E’ come se tu mi avessi uccisa, hai capito grand’uomo? Se mi avessi sparato mi avresti fatto meno male, bastardo. Invece quel coglione del tuo amico per poco non mi piangeva al telefono, dicendomi tutto. E’ giusto cosi, eh? Dimmi ti sembra giusto, sei sparito e mi hai uccisa. E’ una settimana che non dormo. Non sapevamo se chiamare la polizia e i carabinieri. E’ una settimana che non dormo perchè non sei qui. Non è giusto, non è giusto!!!-
-Lo so da me che non è giusto, ma non potevo dirtelo, non avevo il coraggio, capisci,? Non ce la facevo...-
-Ah si?! E allora perché hai telefonato ora, dimmi, perché? Dimmi dove sei ti prego, siamo tutti preoccupati, io, tua madre e tuo padre non parla più , ma Cristo, dove sei andato a finire?-
Sedici miglia al largo della costa, un branco di balene nuota difendendo due piccoli all'interno della formazione . Uno di loro affogherà tra un’ora. Un uomo di Udaipur uccide con un bastone un bambino troppo magro per i suoi sette anni. Nessun gemito quando il cranio sottile viene sfondato. Per alcuni non c'é differenza tra la vita e la morte. Nel silenzio della stanza d’albergo, una pila di fogli è in bilico sul comodino. Sul primo si legge "The temporal relationship between intracellular acidification and DNA fragmentation in apoptosis". La morte é ovunque e la vita è solo il suo bordo, la cornice per valorizzarla.
-Non potevo, capisci, non potevo dirti che sono morto - Per un attimo gli manca l'aria e nessun segnale elettrico passa nei suoi neuroni. Si risveglia al ricordo di giornate di maggio sudate nel campetto dietro la chiesa di Don Giacinto e delle notti puzzolenti di sigarette prima della laurea. Pensa che la chiave di tutto è il caos, l’assenza di ogni regola, di ogni armonia, il regno della coincidenze dove una singola cellula impazzita può distruggerne miliardi. Non ci sono ragioni, ma solo schegge di futuro impazzite. Nessuna traiettoria da gabbiano. Così decide di colpire.
-Non posso più vivere e non voglio morire, amore- ed il pugnale si fonde con il seno leggero della donna
-tutto è diventato così pesante, è tutto cosi pesante - ed entra nel cuore facendolo scoppiare
- e non so più nulla - e gli schizzi cancellano tutto, i muri della casa ed i ricordi attaccati, l’aria stessa.
Bacia la cornetta e tutto ciò che sente è un urlo che arriva da ottocento chilometri di cavi ed entra nell’anima troppo lentamente.
- Nooo, noooo, nooo, ti prego no!!! -
Tutto il corpo malato dell'uomo vibra e la vibrazione continua nel suo slancio verso la vetrata. Mentre la cornetta cade i gabbiani planano e smettono di volare.
bello, triste e bello, drammatico e bello.
ReplyDeletebello insomma
:-)
mi è piaciuto e riguardo all'evoluzione direi che serve solo se c'è bisogno di migliorare
probabilmente non c'è evoluzione nella tua scrittura, hai ragione, ma lo vedo come un fatto posisitivo nel senso che questo racconto attrae, intriga come fanno anche i racconti più recenti, significa che sei partito già bene secondo me e quindi l'evoluzione non ci sta :-)))
mandi Bartel
Eri molto bravo anche allora.
ReplyDeleteIl castello aragonese mi ha ricordato Otrato, la porta d'oriente, ma ce ne sono diversi sparsi nel nostro bellissimo sud.
Otranto
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