Rat race

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Tuesday, April 19, 2011

Sette di tutto (III)


Il grosso camion verde con la stella bianca sulle portiere arriva dal molo grande. Quella striscia di pietre antiche ha dato momentaneo  rifugio a due navi grigie, panciute e placide come signore di mezz'età.  Dal loro ventre scuro uomini sudati scaricano in silenzio casse di legno piccole, grandi e grandissime.  Ogni tanto qualche capo, meno sudato e più incazzato, urla in una lingua di gomma ordini sempre uguali tra il cigolio ritmico dei paranchi e delle gru.  A dire il vero nessuno sembra occuparsene più di tanto.  Troppo caldo per pensare , si suda soltanto e non é neanche estate. Si aspetta solo la fine del turno di lavoro per andare a bere una birra chiara e ghiacciata  che riporti l'anima dentro il corpo.  Il camion viaggia nel sole di mezzogiorno, seguito da una nuvola di polvere.  Senza fretta passa lungo una fila di palme  da datteri, messe a fare da sentinelle sul confine tra la strada bianca e il lungomare dove con la balaustra di ferro  tiene a bada le agavi.  Dal lato opposto della strada alcuni palazzi scostumati mostrano le proprie intimità violate: stanze con letti intatti, sedie e cassettoni pieni di abiti, quadri di pittori morti di fame e orologi a pendolo guasti che mai avrebbero pensato di splendere nel sole. Nel cassone del camion quella luce crudele scopre un arcobaleno di frutta fresca ed odorosa. In questi tempi strani a volte colori ed odori si percepiscono  come un' unica sensazione. E’ un fenomeno curioso rinforzato dall'esperienza di ogni giorno durata anni.  Il nero delle  uniformi fasciste portava con sé sempre la puzza dell'olio di ricino e il fetore della paura e della  merda  conseguenti; il rosso del sangue che scuriva per strada sapeva di polvere da sparo, e quell'odore/colore che dalle narici arrivava direttamente al cervello e lo imbeveva ne è ancora satura tutta la città, ogni via, ogni vicolo.
Il camion verde arriva di fronte al comando militare preceduto di molto dal rumore del proprio motore Ford. Il rumore verde aveva prima echeggiato nel dedalo di vie scure  che separano il lungomare dalla zona che gli alleati avevano occupato con le loro uniformi stirate di fresco.
Due enormi uomini in divisa saltano giù dal camion e spariscono nella porta del posto di guardia dopo averla riempita quasi completamente. 
La tentazione è troppo forte, più forte della paura che li ha fatti nascondere dietro un cumulo di macerie.  Mille colori, mille odori, mille di sapori; una unica certezza: ora o mai più, quel carico di frutta non resterà incustodito a lungo.
"Ora o mai più" Tanino quasi sospira per la paura e guarda Lino negli occhi. "Ora!" gli risponde Lino con la freddezza che può avere solo chi ha già superato il muro della disperazione e si è accorto che dall'altro lato non c'è niente.  L'assalto è cominciato. Due piccole ombre affamate e scalze si avvicinano rapide al retro del camion.
Rapide occhiate verso la porta del posto di  guardia. Si sentono grandi risate, tutto bene. Tanino non respira più per la paura, ma una mela  la deve portare a Maria.  Si accuccia prima del balzo finale e cerca la forza negli occhi neri di Maria e nella nuca rasata di Lino. "Voglio mangiare una banana, una banana gialla" è la voce di Lino che si dà coraggio e con un balzo si appende con tutte e due le mani alla balaustra del camion. Spine di ricci di mare, nere e lunghe gli entrano nelle mani ma non siamo al mare. Poi arriva il rumore, come lo sfrigolio delle lame dei coltelli sulla ruota dell'arrotino, e poi le scintille. Infine tutto il corpo che trema, scosso dalla corrente  elettrica. E’ il morso del mostro, il camion è  vivo.  Il sole in cielo comincia a roteare e l'azzurro scompare. Tanino è impietrito ancora accucciato sotto il cassone guarda il suo amico sbattere contro il metallo come uno straccio da asciugare. Si alza lentamente. Bisogna staccare Lino da quella croce, ma trova solo la forza di urlare il suo nome con tutta l'aria che ha nei polmoni come per svegliarlo da quell'incubo "Linoo, Linooo, andiamo Linooo". 
Qualcuno esce dalla caserma e il bambino corre via prima di rendersene conto.
Uno degli uomini del camion ha sentito quelle urla e si è precipitato fuori con la pistola in pugno. Alla vista del bambino attaccato al metallo  ripone la pistola nella fondina e sorride sotto i baffi rossicci e ben curati "Giò, wi got anoter fachin macaroni...cam iar!" Il camion lascia improvvisamente la sua preda ed il bambino cade per terra. Arriva un altro soldato con la divisa sporca di grasso.
L'uomo che sorride indossa baffi rossi, è il sergente J.C. Manter, figlio delle praterie dell'Arkansas e di diversi padr. "Sii, i's still tremlin... ". Prova a toccarlo con la punta dell'anfibio. L’altro soldato lo spinge via con un colpo di spalla e si china sul bambino che perde sangue dalla nuca rasata a zero per i pidocchi e dalla piccola bocca piagata.  Il soldato solleva quell'umanità leggera e bagnata di sangue e piscio e si ritrova davanti il volto ben rasato, i baffi rossi e gli occhi verdi del sergente Manter con la mano sulla fondina della pistola.  Il soldato lo fissa con i suoi occhi gialli. Gli sorride mostrando i denti bianchissimi.  Il sergente si sposta di lato e il soldato sorridente  entra nel buio del posto di guardia . Dopo qualche passo la sua voce leggera canticchia l’overture dell’ Italiana in Algeri di Rossini "jo man... fachin son...ov a fachin mader...".

2 comments:

  1. grazie dell'invito e dei link ai blog.. ora me li salvo sul mio blog.
    ho avuto solo ora un po' di tempo per passare a curiosare.. ora che ho "visto il posto" ci farò più attenzione e ci passerò più spesso

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  2. ehm nel caso non si capisse e questo fosse un blog collettivo rispondevo ad arteletteratura

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