Decisamente Julian ama più gli animali degli uomini, ma si lucida ogni giorno gli stivali e cerca di essere sempre bello per le donne.
Il bambino si risveglia per il dolore “Piano Julian, piano…”. Fuori nel corridoio voci concitate; una donna urla qualcosa in dialetto, l’urlo sale d’intensita, diventa un latrato di paura e dolore, qualcuno corre, la porta si spalanca ed appare lei. Il dottore se ne accorge dallo spostamento d’aria
“Dotto’, dotto’ u piccinn dotto’ u il bambino... che s’è fatto?! E’ morto è morto?”
Delle ombre scure sono entrate nella stanza, l’allagano: donne, cinque, sei, brune di capelli e abiti e occhi e tra quel colore scuro e veloce, tra quella massa calda una, due macchie chiare, troppo chiare, due occhi azzurri.. Dietro suor Ginetta con le ali in movimento ha cercato di arginare l’onda nera, ma non ce l’ha fatta, impossibile fermare delle madri, forse con i fucili, ma la suora è disarmata, e Julian ride di tutti quegli ormoni in movimento.
"Sentite signorina, il bambino ha una costola rotta e qualche taglio. Bisogna ricoverarlo qualche giorno cosi almeno mangia. Voi siete la sorella? Bisogna avvisare la mamma!"
"Sono io la mamma dottore" gli occhi azzuri della donna spiano negli occhi educati del medico un'ombra di contenuta incredulità. Vent’anni, forse ventidue. Un corpo snello, leggero e due occhi da bambina cosi chiari. I seni sono appena accennati sotto il vestito che doveva essere blu un tempo. Deve avere l’abitudine di mangiarsi le unghia. La fede non c’è , l’avrà data alla patria o a qualche strozzino. I capelli castani sono tenuti da forcine, ma una ciocca è sfuggita nella corsa che ha fatto dalla fila per il pane dove l’amico di Lino era arrivato senza fiato e terrorizzato. Il bambino si era inginocchiato davanti alla madre dell’amico e piangendo ha vomitato parole morsicate su americani e morti, un uomo nero e frutta. Il terrore aveva scosso la fila del pane, stanca e rassegnata un attimo prima, poi l’adrenalina si era trasformata in urla e un branco di donne, sorelle di utero e parti e aborti e figli mai tornati, si era messa a caccia di un corpo, di una vittima e di un carnefice, tirando per un braccio il bambino che aveva dato l’allarme e trascinandolo via per le strade polverose.
Il branco aveva raggiunto il camion e a gesti e spintoni era stato spinto verso il vecchio ospedale poco distante. La piccola folla era arrivata nella piazzetta adiacente l’ospedale ed un drappello staccatosi dal corpo centrale era volato rumorosamente su per le scale come uno stormo di corvi ubriachi. Ora le donne un po’ placate vengono spintonate furori da Suor Ginetta e da Julian che ne approfitta per palpare un po’ di carne soda e sudata.
Il medico guarda la nuca della madre, una mano riporta la ciocca di capelli dietro l’orecchio ma le ricade sul naso al minimo movimento. Cerca di soffiarla via stizzita. Il medico si immagina il volto da ragazzina che chiama le carezze. La madre guarda gli occhi socchiusi del bambino, gli prende la testa tra le mani e lo bacia sul viso una, dieci volte come se volesse mangiarlo gemendo. poi si ferma, lo guarda e le sue spalle cominciano a tremare spinte da una rabbia violenta che ha bisogno di sfogarsi. La mano destra si alza di scatto e resta per una frazione di secondo sospesa alta sulla testa. Vorrebbe colpire abbattersi su quel dannato bambino, giù feroce ma un’altra mano afferra il polso minuscolo ed il pollice. Il corpo ha già cominciato la sua curva ma frena e compie un mezzo giro
Il suo volto è contro quello del medico, le palpebre si abbassano mentre il fiato caldo dell’uomo accarezza il viso. Occhi scuri negli occhi azzurri. “Calma, basta adesso… è tutto finito signora… calma”. La voce dell’uomo è tranquilla, bassa, senza scosse. I due sembrano ballare, quasi avvinghiati in una lotta. Suor Ginetta si avvicina, abbraccia le spalle della donna che si lascia portare via, assente a questo mondo, caduta nella stanchezza di chi pensava di morire ed invece si ritrova vivo e ha bisogno di tempo per rendersene conto. E’ passato. E’ tutto passato. Negli occhi stanchi dell’uomo con il camice le due donne spariscono fuori dalla porta che si chiude, mentre una leggera corrente d’aria gli accarezza il viso e lo riempie di una strana nostalgia senza motivo.
Julian non c’è più nella stanza. Tutto normale. Aureliano Ayala continua da solo il suo lavoro, lentamente e con precisione mentre il bambino si lamenta piano.
Dopo qualche minuto la porta si riapre piano e Julian sempre sorridente riappare.
“Certo che voi Italiani mi paiacete molto, cioè mi piacciono le ITALIANE…ah, ah.. ma siete tuttiun popolo divertente …si…divertente e sorprendente…yes, yes, yes…visto che confusione? Bellissimo, che colori e che cosce!!!”
Il dott. Ayala sorride, Julian è cosi, esagerato ma un pezzo di pane.
“Sai Aureliano ho fumato una sigaretta con il negro che ha portato il bambino. Lo sai chi è? E’August J. Lee “.
“Accidenti ...August J. Lee! E chi cazzo è August J. Lee?”
“Dottore dottore come sei volgare; Il negro è famoso nella US Army. Canta, è una specie di cantante lirico, un soprano.”
“Allora è un pederasta”
“Come?”
“Dico... se è un soprano gli hanno amputato i testicoli, lo hanno castrato, è un eunuco.
“Ah... no... volevo dire ...come si dice...tenore”
“Cosi va meglio...un tenore negro...non ce ne sono tanti. Ma se non parla italiano come fa a cantare?”
Un po' di italiano lo sa. Lo ha imparato a New York, per il resto impara a memoria ma credo che sbagli tutti gli accenti e le doppie che avete nella vostra lingua, ma è cosi contento che lo hanno mandato qui in Italia invece che a Honolulu cosi può imparare l’italiano. Mi ha chiesto se gli do lezioni di italiano in cambio di sigarette e tutto quello che voglio. Lui sta ai rifornimenti...”
“Ottimo affare basta che non sparisci dall’ospedale”
“No, no, tranquillo fidati..senti, a proposito perché non lo presenti al tuo amico, quello che suonava nell’orchestra...magari lo aiuta!”
“No, non adesso, non sta molto bene...”
Me lo ero perso. L'ho letto da principio e mi piace moltissimo. Non so che darei per scrivere come te. Possibile che nessuno mai abbia compreso il tuo talento? Ho un soggetto che ho scritto io ambientato nel 1946. Una mia amica editor dice che potrebbe diventare un libro molto bello, ma per questo dovrei essere brava almeno quanto te.
ReplyDeleteIo lo comprerei un tuo libro. Spero che qualcuno un giorno si accorga del tuo talento. Io soffio, tieniti forte eh? :-)
ReplyDeletea cantare si riesce in tutte le lingue
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