Mamma! Mamma è buio! Ho paura, è buio. Mamma dimmi che mi vuoi bene e che non mi lascerai mai. Mamma stringimi e balliamo insieme, insegnami a ballare. Mamma quel mostro verde mi ha morso mamma, mi ha fatto male, ma io non ho pianto, io sono un uomo. Mamma, stai con me, ho paura del buio. Ho freddo mamma. Dov'è Tito mamma? Mamma, io lo so che tu e Tito mi volete bene. E' vero? E' vero? Mamma dimmi che mi vuoi bene. Almento tu, mamma, tu e Tito.
La suora ha l’alito cattivo. Lo si sente da due metri. Per il resto, da dietro le ali bianche della sua cuffia il suo mestiere lo sa fare.
Taglia e cuce come un chirurgo e non è arrogante come loro. Fascia braccia e gambe e teste con mano leggera e non dorme mai o cosi sembra. Nonostante l’alito ha sempre un sorriso stampato in faccia. Lo aveva anche qualche mese fa quando dava una mano a fermare l’emoraggia dallo stomaco bucato di un soldato tedesco di diciotto anni che urlava di non voler morire e chiamava sua madre. L’ultimo morto tedesco di quei cinque giorni. Lei gli parlava con dolcezza in tedesco e gli sorrideva accarezzando i capelli biondi, gli diceva che il dottore era bravo e che non sarebbe morto. Davanti al suo cadavere cinque minuti dopo aveva detto che questa era la volontà del Signore, amen e gli aveva chiuso gli occhi verdi sbarrati su qualche inferno o su qualche valalla nibelungo. Strana donna Suor Ginetta da Trento, strana suora dall’alito cattivo. Qualche anno prima, qualche giorno prima di Natale, il primario di chirurgia, il dottor Spreafico, camicia nera dai tempi della Marcia, le aveva chiesto con un sorriso virile: “Ma suor Ginetta , ma perché ha lasciato le nostre belle Alpi?” lui che non era mai stato più a nord di Roma e lei gli aveva risposto sempre sorridendo: “Perchè faceva troppo freddo”.
”Ah, beh...certo, certo...”. Strana donna Suor Ginetta da Trento. Si affaccia da dietro la porta bianca ed il medico più che vederla ne avverte la presenza da dietro gli occhi chiusi, forse anche l’afrore. L’odore di una suora vestita di bianco dovrebbe essere di violetta o di lavanda. Suor Ginetta sa di etere e aglio della cucina e di tutta la sofferenza del mondo.
Con gli occhi ancora chiusi il giovane solleva la testa.
”Va bene sorella arrivo”
Il medico sbadiglia e si strofina gli occhi arrossati. Venti minuti di sonno senza sogni in venti ore, venti minuti seduto ad un tavolaccio.
“Avanti un altro tanto...”
Tanto sono rimasti solo in due e mezzo in ospedale: lui, Mauro Pacelli e il regalo.
Il medico trascina i piedi sino alla porta e si ferma. Sull’uscio un soldato americano negro enorme ha un bambino svenuto tra le braccia. Le ali della cuffia di Suor Ginetta spuntano dalle sue spalle “Ha detto che voleva il dottore se no non lo lasciava il bambino”
“Doc, bambino fatto male…caduto trak”
“Si si va bene... vieni mettilo qui” Il dottore lo prende per un braccio e gli indica un tavolo coperto da un lenzuolo. Il soldato si fa guidare docilmente e posa il bambino sul tavolo. “folen daun ”
Lo scimmione ha una voce potente e profonda “blood sanguie sanguie”
“Va bene...adesso go, go su. Sorella portatelo via.” Suor Ginetta stende le braccia verso il petto del soldato che resta immobile. La sua camicia ha un enorme macchia marrone a sinistra. Il soldato americano guarda giù verso il sorriso della suora e si allontana.
Il bambino è magro, troppo magro per i suoi sei, sette anni. Le costole si possono contare . Qui, questa é rotta, la sesta a destra. i polmoni sono a posto però. Un pò di graffi alle gambe e alle braccia. Brutto taglio al cuoio capelluto. Ci mettiamo due, no tre punti. Ha un inizio di scorbuto.
“Ale atque vale doc. Posso darti una mano?”
“ Si Julian, aiutami a fasciarlo...Suor Ginetta le bende... ne abbiamo? “
“Solo vecchie lenzuola”.
“Sono pulite almeno?”
“Si dottore, qualcuna di pulita c’è, la cerco”
Julian è bravo a fasciare, delicato e deciso al tempo stesso.
Julian T. Owen, detto il regalo, the gift . E’ il regalo della Royal Navy della perfida Albione per i bisogni sanitari dei nuovi alleati, è il regalo di Dio alle donne del mondo secondo lui. Julian T. Owen è un veterinario di Swansea, Galles, Regno Unito, vecchi nemici, nuovi amici e poi non tanto. Lui viene da un paese strano che è fatto di pecore e colline. Colline e pecore e pub spersi nel nulla, che poi sono come le nostre osterie da quello che si capisce. Colline e pecore e love spoon, promesse d’amore di legno che Julian regala a donne dai nomi impronunciabili che vivono in posti dai nomi impronunciabili e che lui recita come scioglilingua quando racconta di quella volta che un marito poco spiritoso gli aveva sparato addosso.
Julian è un veterinario figlio di un pittore un po' strabico , ma bravo.
Tanto bravo da aver dipinto un quadro del principe del Galles, l’erede al trono. Julian è un bravo ragazzo ed un bravo veterinario che ama più gli animali che gli uomini.
“Guarda che per noi le pecore sono come persone e se si ammalano le curiamo bene perché da noi o hai molte pecore o ti tocca andare in miniera a scavare carbone in ginocchio e a non vedere la luce del sole per mesi. Scendi nel pozzo prima dell’alba ed esci che è notte. Poi tra animali e uomini le differenze sono poche, per qualcuno nessuna. Forse gli animali sgravidano di spalle e le donne di faccia, ma sono particolari”.
Decisamente Julian ama più gli animali degli uomini, ma si lucida ogni giorno gli stivali e cerca di essere sempre bello per le donne.
Storie di ordinaria follia
ReplyDeletein un tempo in cui il quotidiano profumava di sangue
e quell'odore non era ancora talmente usuale
da renderci indifferenti
o più semplicemente... qualunquisti
Complimenti per come scrivi
e grazie di avermi dato modo di leggerti
BriCciole.............................