“La fame è fame e non c'è niente da fare. Non ti fa giocare, non ti fa pensare e non ti fa dormire. Non ce la fai a correre e quando ti fermi hai lo stomaco freddo, non ce la fai a tirare le pietre o a fare a botte. La fame è fame. Se Dio ci vuole bene, come dice la mamma, perché ci fa avere fame? Anche Tito ha fame. Me ne accorgo perché non gioca più con me e sparisce per un paio di giorni. Mamma dice che va a caccia. Va a caccia di colombi, credo. Forse pesca. Mamma dice che i gatti vanno a caccia di topi, quelli grossi e schifosi come quello che abbiamo ucciso la settimana scorsa con Tanino ed Edoardo e c’era pure Tonio. Era grosso come un gatto il topo, ma lo abbiamo inseguito tutti insieme e poi lo abbiamo colpito con le fionde e le mazze.
Ci ha messo un sacco di tempo a morire ed ancora mi ricordo i suoi strilli. Somigliavano a quelli degli uccelli. Non penso che Tito mangia quelle schifezze anche se la fame é fame. Chissà se mio padre ha portato da mangiare oggi. Chissà se stasera mio padre torna. Il padre di Tanino torna sempre. Suo padre dice che prima era diverso. Prima si mangiava ogni giorno, non tantissimo, ma si mangiava. Ogni tanto, lui e suo padre giocano a tavola e fanno finta che, invece delle razioni, c’è il pollo da mangiare tutti insieme con le mani o una fetta di carne rossa rossa da fare nella padella grande sul fuoco o i dolci, le cassatine con le ciliege sopra. Io ho mangiato una volta le ciliege, le ho rubate da un orto dove c'era anche un cane rabbioso che per poco non mi mordeva, ma non ho mai mangiato le cassatine. Io penso che a Tito e a me ci piacciono le cassatine.”
La fila per il pane è lunga. Ci vorranno ore avere un po' di pane. Ore di fila. Ore di uomini e donne appoggiati ad un muro e che non si parlano, attenti soprattutto a non essere superati e a superare. Quasi nessuno parla e parlare poi di che? La guerra ha cambiato i discorsi e nessuno vuole parlare di guerra. La guerra ha cambiato le parole, ne ha cancellato alcune e ne ha aggiunto altre, nuove, ma ci vuole tempo ad impararle e non sempre é piacevole. Altre parole sono solo cambiate, si sono arricchite di significati. Il muro su cui tutti, tranne i più paurosi, si appoggiano é sempre stato parte di una casa, della mia casa, il riparo dei miei figli, ma ora é il posto dove sono stati ammazzati padre e figlio dai Tedeschi. Per la verità i Tedeschi volevano ammazzare solo il figlio. Era grande e grosso il figlio con due mani come badili e con un pugno aveva spaccato la faccia ad un SS troppo intraprendente con sua moglie che non era neanche particolarmente bella. Il padre, un sarto piccoletto e con i baffi ben curati, ha avuto la cattiva idea di mettersi tra le pallottole ed il figlio. Notoriamente le pallottole non distinguono i colpevoli dagli innocenti. La nuora del sarto con il suo bambino in braccio adesso è in fila con gli altri e ignora i buchi delle pallottole sul muro perché ore di fila stancano le gambe e la testa ed anche il dolore diventa abitudine e poi non fa più male. I maligni dicono che un soldato inglese pieno di lentiggini si è incaricato di curarle il dolore. Una terapia notturna dicono i maligni, come si usava fare prima della guerra e a volte anche durante. Un tempo, prima della guerra, tanto tempo fa, la notte ci trovava stanchi di ritorno dall’Arsenale o a far l’amore o a cantare sotto i balconi delle ragazze brune. Un giorno improvvisamente la notte é diventata coprifuoco e ha tolto il sonno e la voglia di fare l’amore. Poi è diventata fuoco e rovine quando gli aerei Spadefish hanno deciso di vomitare sulle nostre case con la scusa di colpire le navi incatenate ai moli. Gli alleati erano i nemici sempre in ascolto allora, ora sono gli amici a cui non importa niente di quello che diciamo. Tutto cambia tutto si muove e cambiamo anche noi che siamo in fila, i maligni e gli altri, fermi, appoggiati a questo muro tutti, tranne i più paurosi che hanno paura di essere sorpassati come quella ragazza con il bambino rasato per mano.
“ Mamma mi sono stancato....andiamo a casa”. Il bambino parla con la testa bassa e si pulisce la pianta dei piedi scalzi sfregandola contro l’altra gamba. La madre gli carezza la testa rasata dove qualche giorno prima c’erano i capelli neri come quelli di suo padre e lisci come i suoi.
“No Lino, dobbiamo prendere il pane. Finiscila e stai buono se no lo dico a papà quando torna”
“Uffà mà, voglio andare a giocare con Tanino”
“Va be, va be va ma non ti fare male”
La vecchia donna grassa vestita di nero le sorride: “Che ci vuoi fare figlia mia, so cosi i piccini”
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