Oxana Rishnyak
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Il suo sorriso alla nicotina mi provocò una gastrite istantanea che servìa risvegliarmi dallo stupore in cui galleggiavo da un quarto d'ora. Mi risvegliai appena in tempo per accorgermi di essere circondato da giovani della mia età che mi osservavano con un misto di odio e curiosità. A rompere il ghiaccio con cordialità fu il Dottor Lavagni, l'uomo seduto: " E tu chi cazzo saresti?"
Io non capivo nulla di quanto stesse accadendo, sentivo soltanto fortissimo il desiderio di sparire da quell'area geografica e di essere teletrasportato nella remota e ospitale regione del deserto dei Gobi. Il teletrasporto non funzionò e mi ritrovai con la mia mano destra sudata che si slanciava oltre il tavolo ampio e ingombro di carte del Dottor Lavagni. "Buongiorno, mi chiamo Bartel..."
La mia mano resto sola sospesa nell'infinito spazio di quella scrivania.
Con il tempo capii tre cose riguardo quell'uomo in questo ordine: perchè non sia alzò a stringermi la mano, perchè mi accolse cosi simpaticamente e perchè era sempre incazzato,.
Il dottor Lavagni era stato vittima di un incidente stradale un paio di anni prima. Alla guida dell'auto c'era la sua amante di allora, una giovane segretaria dell'ufficio fondi con cui stava litigando. Il litigio terminò fuori strada. Lei si ferì seriamente, lui ci rimise la spina dorsale e ci guadagnò una sedia a rotelle e un leggero sputtanamento. Io avevo appena preso il posto destinato al nipote preferito della legittima consorte. Si chiama merce di scambio. Io non ero previsto. A posteriori giustificai la magnifica accoglienza. Per quanto riguardava i miei nuovi colleghi, prima pensarono che io fossi il parente prescelto di cui tutti mormoravano, e mi odiarono. Poi si accorsero dalle parole del capo che ero altro, e mi odiarono di più.
Anche il Dottor Lavagni cominciò ad odiarmi. Lo capìì quando aggirò la scrivania con un agile movimento della sua sedia a rotelle cromata e mi si parò davanti. Mi fissò dal basso in alto con occhi furiosi parzialmente coperti dalle sopracciglia chiare, ma cespugliose e mi disse alcune parole che non scorderò mai: "Il tuo lavoro qui è tutto un errore...tu sei un errore!" e usci dalla stanza. Diretto alla direzione, immaginai. Qualcuno dentro di me sorrise al piccolo calambour, mentre restavo fermo nell'aria cristallizzata di quella stanza tra quel piccolo gruppo di ragazzi miei coetanei. Poi qualcuno si mosse per tornare alla propria scrivania, il gruppo si sciolse improvvisamente. Restai solo in piedi. Poi un' anima gentile mi indicò senza parlare una piccola scrivania sgombra all'estrema periferia dello stanzone. Io la raggiunsi, poggiai la mia borsa vuota e mi sedetti. Guardai il muro di fronte, bianco e spoglio e sorrisi senza che nessuno mi vedesse. Era tutto completamente pazzesco, sicuramente c'era un errore e tra pochi minuti sarebbero arrivati per scusarsi brevemente e mettermi velocemente alla porta. Era stata una mattinata interessante. Averi avuto qualcosa da raccontare la sera. Mi appoggiai allo schienale e cominciai ad aspettare con pazienza e rassegnazione. Ero nato perdente, non avevo diritto alla fortuna, solo agli errori crudeli. Ne apporfittai per riposare e rilassarmi, e mi addormentai.
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