Il mio centro estivo era situato in via Catania angolo Via Dante, poco prima del cavalcavia della Bestat. Si estendeva a Nord sino a Via Siracusa e ad Est sino a Via Solito. Via Catania è ancora una stretta via incastrata tra alti palazzi degli anni 60’ che creano una specie di ombroso canyon urbano in cui la luce estiva arrivava attenuata grandemente. Al termine del periodo scolastico, all’inizio di Giugno, dopo aver ritirato finalmente la pagella prima grigia e poi azzurra con i voti segnati ancora a penna, io e mio fratello eravamo finalmente liberi. Liberi di andare a scorazzare in pantaloncini corti con i nostri amici nel canyon, nel nostro centro estivo, giocare con le biglie di vetro tra le buche dell’asfalto o a pallone o a nascondino o a prenderci a botte o a tirarci pietre con i ragazzini che arrivavano dalle case occupate della Bestat a minacciare il nostro territorio. Sempre attenti a non essere investiti da qualche auto. Insomma liberi, liberi sino all’ululato materno che ci richiamava a casa per il pranzo o la cena, o per quando ritornava nostro padre dall’Arsenale. Quelle giornate in realtà monotone ci hanno insegnato molto, quando al mare ci si andava solo il sabato e la domenica alla marina di Lizzano (che viaggi eterni!), quando c’era la tv dei ragazzi. Imparavamo tutto e non sapevamo niente. Qualche giorno fa sono stato ufficialmente invitato da mia figlia di sei anni alla festa di chiusura del suo centro estivo. Ore 15.30, trentadue gradi umidi, inforco la bici e dal lavoro raggiungo il centro estivo che dista circa due chilometri. Una cooperativa di giovani insegnanti regge per quattro settimane l’urto frontale di una sessantina di bambini dai 4 ai 6 anni asserragliati in una scuola materna comunale che apre i battenti alle 7.15 e chiude alle 17.30 grazie ai collaboratori scolastici (bidelli) pagati dal comune. Iscrizione a Maggio e graduatoria. Tutto a pagamento, of course, ma il prezzo è ragionevole per avere in cambio giornate fatte di giochi, canti, risate, gavettoni e qualche lezioncina varia, in un ambiente pulito e sicuro, in assenza di nonni lontani mille chilometri (fisicamente). Prezzo ragionevole per poter lavorare tranquilli come la maggior parte delle coppie che ho visto nel salone del centro estivo. Molti locali, qualche meridionale, pochissimi extracomunitari. C’è anche un bambino egiziano con un grave handicap psicofisico con la sua brava maestra di sostegno. Penso al sollievo di quei genitori e ringrazio chi di dovere per averci evitato un dolore del genere. Poi penso che il sindaco della mia nuova città è leghista e ha la mia età (40 anni). Non si finisce mai di imparare. Inizia una piccola recita su Pinocchio, i bambini cantano“il Gatto e la Volpe” di Bennato. Dai disegni sulle pareti imparo che per mia figlia sono molto importanti il suo Nintendo e il suo criceto e rivedo me e mio fratello con le nostre biglie di vetro.
Sono in attesa di partire, ma mi sa che stavolta ho cominciato a preparare le valigie con troppo anticipo.
ReplyDeleteCrescere dei figli vuol dire anche questo: avere la percezione netta del tempo che passa. E' un privilegio che purtroppo non ho. Il tempo che passa è nemico solo di chi vive per metà.
Bravo, sei riuscito a mettermi di buonumore :o)
ReplyDeletedi noi ti puoi fidar...
ReplyDeletePremetto: fortuna che ci sono questi centri estivi. Le esigenze della vita di oggi sono sicuramente diverse da quelle di un tempo. Però...vuoi mettere la libertà che avevamo noi? Io al centro estivo non ci sono mai andata, manco c'erano, che io ricordi... Ma che belle estati passavo! Purtroppo i nostri bambini si perdono molto oggi.
ReplyDeleteCiao