Come un sol uomo
Fa un freddo cane anche se il cielo é limpido ed il sole é alto. Non c’é una nuvola tutto intorno e non c’è neanche vento. Le bandiere infatti restano appassite contro le aste . Qualcuno le agita e allora si riescono a riconoscere i vari gruppi. Li davanti ci sono i più giovani. Quelli vogliono stare sempre in prima linea. O forse li mettono li per un motivo. Miccia me lo ha spiegato una volta. Se il primo fronte, il primo muro, cede velocemente mentre le ali resistono i nemici avanzano rapidamente e poi si ritrovano davanti noi, più esperti e più forti, con alle spalle i fiondatori. A quel punto vengono circondati ed è fatta. Se i loro capi sono furbi invece, attaccheranno leggermente il muro principale, magari con i loro ragazzini, e martelleranno con la vecchia guardia le ali . Quelli sono dei gran bastardi.
Eventualmente noi scavalcheremo le nostre ali ed irromperemo contro la parte più dura del loro schieramento. Oggi ne perderemo molti, ma dobbiamo vincere, non ci restano tanti campi da conquistare. Se oggi vinceremo avremo diritto di saccheggio sulla città. Un tempo le città si saccheggiavano prima delle battaglie; ma il patto d’onore di dieci anni fa ha cambiato molte cose e noi ci siamo adeguati. In effetti era uno spreco di energie. Onore innanzitutto, forza e onore, sangue e onore. Se mio padre mi vedesse oggi qui sul campo, con ai lati i miei più cari amici, Miccia e Scuro, sarebbe orgoglioso di suo figlio. Oggi voglio vincere, voglio fare qualcosa per cui si parlerà di me e voglio farla con i miei amici, i miei fratelli, qui sotto questo sole freddo. Non è la prima volta che partecipo ad una battaglia e se Dio mi aiuta non sarà neanche l’ultima, ma ogni volta sento tanto freddo. Stanotte era più freddo mentre ci avvicinavamo, anche perché avevo sonno. Poi mi hanno fatto bere e mi sono riscaldato e, devo dire anche un po' ubriacato ed ho raccontato dei miei amori, cioè del mio amore. Che stronzo! Va bene, ormai è fatta e magari, se sopravvivo, questa é la volta buona di andarci con lei. Vedremo. Il vento si è alzato adesso, viene da ovest, porta odore di mare. Vediamo i loro vessilli spiegati, sono tantissimi, alcuni con il simbolo del leone giallo in campo rosso. Quello li in fondo, con il leone giallo e le spade incrociate è quello che voglio. E’ lo stendardo dei Sanguinari, il loro gruppo più scelto, i loro eroi. Guardo alla mia sinistra e poi alla mia destra e vedo solo i volti dei miei compagni di giochi, i miei amici in una fila di una cinquantina di giovani uomini dello stesso quartiere. Alcuni sono pallidi, hanno paura, è normale. Altri hanno già il viso duro della battaglia. Mi sorprendo ad urlare “Fratelli, li lo stendardo dei sanguinari! E’ nostro, è nostroooo, è nnnooostrooooo, noostroooooo!!!” Tutta la mia fila erompe in un ruggito, tutti agitano le armi e gli scudi. L’entusiasmo contagia le file davanti e poi quelle di dietro, qualcuno comincia a muoversi, ma i capofila anziani li fermano e li rimettono in riga a calci. Sento un filo di bava che mi cola dall’angolo destro della bocca. Ho i polmoni in fiamme e sento il battito del mio cuore nei timpani. Ad un tratto sentiamo i loro tamburi e l’eco è tremenda. Sembra una enorme marea che sta per abbattersi su di noi. Per un attimo le grida si affievoliscono, quasi si spengono. Vedo una pozza allargarsi ai piedi del ragazzo che mi sta proprio davanti. Si volta e lo riconosco, é un amico di mio fratello, per lui é la prima volta, non dovrebbe essere qui. Per fortuna cominciano i nostri tamburi e per un attimo sovrastano i loro. Tutti urlano e lo schieramento dei nemici ondeggia come smosso dal vento. Stringo l’arma e i miei muscoli sono cosi tesi che mi fanno male. Io e Scuro ci guardiamo, Miccia ci guarda, istintivamente ci avviciniamo, spalla contro spalla, come un sol uomo. Sta per cominciare e che cominci pure, perché non ce la faccio più. Siamo pronti all’urto. Ora o mai più. I tamburi tacciono di colpo e le grida si spengono rapidamente. Tutti hanno capito che la battaglia sta per cominciare. “Lilly ti amo” penso e mi sento stupido. Al centro del campo di gioco avanza un uomo vestito di nero con la sua scorta. “Lilly tornerò da te”. L’arbitro guarda i due schieramenti con un lento movimento del capo, prima a destra, poi solennemente a sinistra verso di noi. Alza le braccia, fischia e comincia a correre. I suoi passi e quelli della scorta sono l’unico suono che echeggia nello stadio. Mentre corre noi lo seguiamo in silenzio con lo sguardo. Arrivato al limite del campo si ferma e fischia tre volte. L’ultimo fischio è lungo e acuto. Non ne sento la fine perché ora tutti urlano. Anche io urlo. Cominciamo a muoverci in avanti, non è più possibile fermarsi, ora corriamo, tutti insieme, come un sol uomo.
Per un attimo ho pensato ad una battaglia, tipo Italia-Serbia...
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