Rat race

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Thursday, October 14, 2010

Racconto in tre puntate (in attesa di riprendere il libro) - UNO

Il pane delle navi in bottiglia


“Di un po'...non credi che tua madre si sentirà sola lì?”
La donna bionda seduta accanto accarezza un grosso anello e controlla che  sulla superficie dorata non ci siano graffi troppo profondi. Gli risponde senza guardarlo. “Ma no... ma no.... figurati... starà con i suoi amici e non si sentirà sola per niente. E’ vero mamma che non ti sentirai sola lì, alla Casa, eh?”
Nello specchietto retrovisore appaiono solo i capelli ricci della vecchietta, tinti di un nero lucido. Sotto quei capelli un paio di occhi scuri, circondati da rughe profonde, guardano la Liguria aspra che si tuffa in mare nel pieno sole di Luglio. “Mamma mi senti?” La figlia bionda si è voltata aggrappandosi al sedile. “Mamma...mamma...!?”. La vecchietta minuscola guarda fuori e parla senza voltarsi. “Si, si, starò bene li, non ti preoccupare, andate in vacanza voi che siete giovani, non vi preoccupate, io starò bene...andate tranquilli”. La figlia si risistema nel sedile, impiccata dalla cintura di sicurezza. “Hai visto Alberto? Mamma è contenta”. Il tono della donna dichiara chiusa la conversazione. Alberto guarda la moglie, poi nello specchietto gli occhi neri e piccoli di sua suocera lo sorprendono per una attimo.  Il buio di una galleria lo richiama a guardare le luci posteriori del Tir francese che corre verso Genova, mentre cerca di nascondere alla moglie un sospiro.

Lo studio ha due grandi finestre che si aprono sul giardino ombroso di lecci che, molti anni prima, hanno assistito alla guerra dall’alto della collina. Da allora, gli alberi sono cresciuti quasi abbracciati l’uno all’altro per lo spavento. La poca luce che penetra nello studio illumina una grande scrivania con molti cassetti vuoti, chiusi a chiave; “un pezzo pregiato si intende, di grande valore” aveva detto l’antiquario. Cornici alle pareti parlano di corsi di specializzazione, riconoscimenti della Regione, della Provincia, attestati di benemerenza del Sindaco, ex partigiano, e della Curia. Ex voto di una vita di successo. Peccato che la direttrice dal grande seno, in piedi dietro quella scrivania, sia strabica. “Strabismo di Venere” diceva sua mamma alle amiche in salotto, e la bambina grassottella con la voce nasale urlava “non ho gli occhi storti io!!!” e correva a nascondersi in camera. La moglie di Alberto è seduta con le lunghe gambe accavallate. La gamba destra oscilla nervosa e il bel polpaccio affusolato si allarga ritmicamente come un cuore pulsante e mentre parla gli anelli migrano tra le sue dita perfette.
“Io vorrei semplicemente sapere come è potuto accadere...come è potuto accadere...lei lo sa che la ritengo personalmente responsabile di tutto? Lei è responsabile, lo sa? Ha rovinato completamente le nostre vacanze! Non creda di cavarsela cosi...io andrò sino in fondo!!!”
La direttrice vorrebbe rispondere per le rime, ma si ricorda di essere una signora e cerca di controllarsi sistemando meglio il foulard sulla generosa scollatura. Nonostante questo, nella sua voce è percepibile una vibrazione isterica, leggerissima, ma sufficiente ad allarmare il trentenne in camice bianco accanto a lei. Il giovane, istintivamente, stringe a sé una cartellina dalla copertina blu di Prussia, “che si intona perfettamente con i tuoi occhi, Federico“, così gli aveva detto la direttrice una sera, qualche tempo prima.
“Guardi mia cara signora, in vent’anni di attività non è mai successo nulla di simile nella nostra casa per anziani che, come lei ben sa, è rinomata per
 l’efficienza e per l’amore di cui circondiamo i nostri ospiti. Siamo sconvolti quanto e più di lei!” e allarga  le braccia volendo includere nel suo dolore e stupore il medico presente, gli infermieri e gli inservienti filippini, i cuochi napoletani, le sedie a rotelle, i deambulatori lucidi, i muri, le cornici appese e gli alberi del giardino sotto i quali ex uomini con il cappello siedono guardando ex donne che non riconoscono.
“... no, mia cara direttrice! Lei non è sconvolta quanto me, visto e considerato che è mia madre ad essere sparita dopo poche ore dal suo arrivo in questa...in questa casa....”
“Senta signora, non le permetto di offendere il buon nome della nostra ...”
“Io del buon nome della vostra casa me ne frego!  Voglio sapere, e  lo voglio sapere ora, dove e finita mia suocera e di chi è la responsabilità!”. Entrambe le donne si voltano verso l’origine della voce e stupite osservano, quasi per la prima volta, l’uomo accanto alla  finestra. Alberto Rinaldi è stupito più di loro di aver parlato. Di solito è un taciturno, ma oggi no. Per vivere fa il direttore di banca, come avevano desiderato i suoi, ma da bambino sognava di fare il pescatore. “Che idea cretina Berto! Tu sei un cretino!” cosi suo padre aveva definitivamente chiuso l’argomento molti anni prima.
“Signori vi prego calma, stiamo calmi...manteniamo la calma se no non si capisce niente...calma!”. La voce che arriva dall’ombra accanto alla seconda finestra è abituata a sedare liti e zuffe, più spesso con manrovesci scientifici e cazzotti balistici che con le parole, ma all’ombra pacifica dei lecci si addolcisce. Il commissario Bertolaso non porta la cravatta, come vorrebbe il signor Questore, ed ha una gran voglia di fumare uno dei suoi toscanelli puzzolenti per spegnerlo poi in faccia alle due donne. Tutte e due finte bionde, l’occhio esperto non sbaglia. Tutte e due abituate a comandare, un po' come sua moglie. In fondo é colpa proprio di sua moglie se si ritrova lì, ad indagare in una casa di riposo, invece che sul mostro di Firenze o su qualche mafioso. Ed è sempre colpa di sua moglie se guarda un po' troppo spesso l’orologio per non dimenticarsi di riprendere la bambina dal nuoto e il bambino dalla lezione di piano o viceversa.
“Care signore, guardiamo i fatti tralasciando le emozioni. Io sono qui perché due ospiti della casa sono spariti”. Il poliziotto estrae dalla giacca il suo bravo taccuino investigativo e lo sfoglia rapido. ”La signora Diletta Lopane vedova Zaccheo è sparita nella tarda mattinata di oggi. Si può pensare ad un allontanamento volontario, anche se non ci risulta che la signora sia affetta da Alzheimer o altro, giusto dottore?”
Il giovane si riprende dal torpore e la voce gli esce strozzata ”Si...si, certo, la signora Diletta non presenta nessuna sindrome neurologica rilevante nonost...”
“Ecco appunto. Quindi signore...”
“Mia madre è sanissima per i suoi ottantasette anni...”
“Certo signora certo, inoltre insieme a sua madre é sparito anche il signor...il signor...”
“Musatti, il cavaliere Musatti” La nota d’orgoglio nella voce della direttrice dovrebbe suggerire una maggiore attenzione ad poliziotto che vorrebbe dare la caccia a mostri di varia natura.
Il poliziotto schiocca le dita per richiamare all’ordine nomi e pensieri “Si, certo il signor... il cavalier Musatti. Ora, dato che il Musatti è immobilizzato su una sedia a rotelle da 5 anni e che è molto difficile che si sia allontanato da solo e dato che la signora Diletta è sparita in pantofole, forse, ma sottolineo forse,  ci troviamo di fronte ad un caso di rapimento”.
Entrambe le donne portano le mani alla gola in un solidale attacco d’angoscia. “Ma noi, noi non siamo ricchi” pigola la bionda Rinaldi guardando nel vuoto “noi lavoriamo, come faremo...”
“Io credo che sua madre, la signora Diletta, si sia trovata invischiata suo malgrado. Magari era lì al momento del rapimento...magari ha visto tutto...direi che il ragionamento fila, non pensate? Ora signora direttrice...signora direttrice?”
“Oh si, si, scusi commissario...sono sconvolta...” La direttrice torna rapidamente dal suo viaggio fantastico tra prime pagine dei giornali ed interviste in prima serata e magari una puntatina al UNO Mattina e Porta a Porta, perché no! E perché non un libro su tutta la storia...
“Capisco, ma io ho bisogno immediatamente dell’elenco di tutti i dipendenti della casa e delle ditte fornitrici. In questi casi c’è sempre un basista, inoltre ho bisogno delle foto dei due vecchietti. Poi mi piacerebbe sapere se il cavaliere era, cioè é ricco o meno, se ha proprietà, immobili, barche... insomma tutto. A proposito i figli, i parenti del Cavaliere dove sono?”
“Li stiamo rintracciando, ma sono all’estero in vacanza. Sa, adesso sono loro, i figli, che amministrano la ditta del cavaliere. Il cavaliere era ...è...insomma faceva l’armatore. Ai suoi tempi il cavaliere era un uomo eccezionale, attivissimo...ed anche ricco, molto ricco e rispettato...e poi...”
“Si, certo, certo, dia tutte le informazioni al mio collaboratore che è fuori...Mastrantonio, Mastrantonio!”. Un giovane non molto alto appare sulla porta. Il nodo della cravatta é allentato, i capelli scomposti e i suoi occhi hanno appena finito di lottare contro uno sbadiglio. “Io devo andare, ho una faccenda urgente...sai...” gli dice il commissario Bertolaso mostrandogli l’orologio e strabuzzando gli occhi. Mastrantonio annuisce obbediente.  Ercole Mastrantonio studia legge e porta i capelli sempre in ordine, ma tra tre giorni c’è l’esame di procedura penale e tra i turni di guardia e lo studio non dorme da settantadue ore ed adesso anche questo rapimento.
“Fatti dare tutte le informazione dalla signora direttrice...su veloce, io intanto mi scuso, ma altre incombenze mi chiamano urgentemente. Arrivederci a prestissimo. Signore, signori...”. Un mezzo inchino frettoloso ed è già fuori dallo studio. Cinque minuti al termine della lezione di nuoto, sette chilometri da percorrere nel traffico del tardo pomeriggio. Usare la sirena o no? Questo dilemma si agita nella mente del commissario mentre scende di corsa la bella scalinata della casa di riposo e per un pelo non travolge la giovane suora magra che sette giorni su sette somministra carità e brodino ai vecchietti. Suor Maria Wanabe, agile come una gazzella della sua savana, lo evita per un soffio e cerca di attirare la sua attenzione, ma il commissario è già all’auto e mancano ormai quattro minuti e quaranta secondi. ”Non ho tempo parli con il mio coll...”. Le ruote dell’auto slittano per un attimo sulla ghiaia e le sue parole si perdono sulla scia di polvere e sassolini. Quattro minuti e trentatre secondi. Suor Maria pensa ad un’emergenza e silenziosamente prega per la vita di quell’uomo, sgarbato ed agilissimo nonostante la pancia. “Chi sarà mai il suo coll? Sarà un nome in codice. Povera signora Diletta, lei che si rifiuta sempre di recitare il rosario...poverina ora, chissà dov’è. Oh santa Madre Maria, proteggila tu! Oggi era strana, molto strana, non trattava male nessuno, devo dirlo al coll del poliziotto...ma dove sarà questo coll...forse é il ragazzo che era con lui...”. Suor Maria Wanabe riprende il cesto di biancheria che aveva lasciato cadere, alza gli occhi al soffitto e torna a lavoro. Al piano di sopra Ercole Mastrantonio si è dato un contegno, ha risistemato il nodo della cravatta che la direttrice aveva fissato con troppa insistenza, ha trattenuto due sbadigli e con aria professionale ha cominciato il suo lavoro chiedendo un caffè :”...corto e forte, per favore”. La richiesta risuona nel grande studio come un autoritratto,  meglio un’autobiografia.

5 comments:

  1. Bello. Attendo il seguito. :o)

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  2. Non mi si accusi di non essere obbiettiva, l'ho detto che alle femmine i maschi piacciono proprio così! E' una legge di natura.

    Ciao :o)

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  3. Allora io non piaccio perchè sono pacifista!
    Ciao ;)

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  4. Ma esistono sempre le eccezioni che confermano le regole! Ciao! ;o)

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  5. Ciao. Ho letto la prima parte di questo racconto a più puntate. La prima impressione è ottima: complimenti. Mi piace il modo in cui hai dipinto le diverse scene, il gioco degli sguardi, il loro intrecciarsi con i pensieri espressi e non espressi...
    Un saluto.
    Carmine

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