Rat race

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Friday, February 4, 2011

Libeccio (VIII)

L’auto rossa corre in autostrada verso levante. Giorgio Pittaluga sistema meglio il suo soprabito sulle spalle magre di Silvana che dorme rannicchiata sul sedile posteriore. Il commissario guida sicuro in silenzio. La luce appare e scompare sul suo viso mentre esce ed entra da gallerie variabili in lunghezza, ma tutte ugualmente deserte. La giornata ha preso decisamente una piega strana. Ripensa alle foto della Di Stefano che aveva appese in ufficio: occhi chiari e lineamenti di cristallo e un sorriso da pena di morte. Poi pensa alla donna bianco-bionda che dorme esausta sul sedile posteriore della sua Alfa, cercando di non guardare verso l’uomo che la accudisce come si può fare solo con una donna che si ama senza speranza. Lo compatisce per gli anni deserti che ha dovuto attraversare, dimentico persino dei propri desideri; lo invidia per ciò che ha ritrovato. Il dolore che prova ora alla bocca dello stomaco non è fame, non di cibo almeno. La parola d’ordine è “non pensare a lei”. Cosi rivede la donna bianco-bionda seduta in un cella grigia che lo ringrazia per essere venuto insieme all’avvocato a parlare dell’organizzazione. Quella donna che ha arrestato che gli sorride sinceramente mentre stringe la mano dell’avvocato Pittalunga, inebetito e indifeso che le siede accanto sul lettino.
“Grazie per essere venuti, grazie amore mio…so che ti deve essere costato molto…ma sono felice che tu sia qui…e sono contenta che ci sia anche lei commissario…la trovo bene”
“Vi ho fatto venire qui per due motivi: uno perché amore mio volevo rivederti prima di morire…no, tesoro, ti prego non piangere…per favore…ti prego, non posso vederti piangere…ti prego…”
Una diga era crollata da qualche parte nell’avvocato e l’acqua ora aveva trovato la via degli occhi. Imbarazzante. Come un bambino, l’avvocato si era fatto accarezzare e consolare dalle piccole mani di Silvana. Il commissario muto gli aveva allungato in silenzio un fazzoletto non pulitissimo.

“L’altra ragione è che ho capito…l’ho capito così vicina alla fine…ho capito che la nostra lotta non ha più senso, ci avete sconfitto”
La donna abbassa il capo concentrandosi a fermare qualcosa che le si agita dentro. Quando risolleva la testa gli occhi sono spenti.
“non abbiamo più nessuna speranza di farcela…non abbiamo più soldi…non abbiamo più persone disposte a sacrificare tutto per la causa…ne avete catturati e uccisi troppi di uomini e donne per bene…”
Il commissario vorrebbe rispondere, vorrebbe urlare che lui ha sempre fatto solo e soltanto il proprio dovere, ma le dita intrecciate della donna e dell’avvocato lo frenano. Allora poggia i gomiti sulle ginocchia e il mento sulle mani unite e si prepara ad ascoltare con pazienza altri insulti senza senso. L’importante è sapere.

“La nostra organizzazione è formata da cellule separate tra loro che spesso non sanno dell’esistenza le une delle altre. Abbiamo deciso di agire cosi per evitare una gestione piramidale che sicuramente sarebbe stata fatta fuori molto rapidamente.
Ci siamo solo dispersi su tutto il territorio nazionale, mantenendo il minimo di contatti possibili e limitando al massimo la circolazione delle informazioni. Io stessa non so dove sia il deposito del Nord-ovest.”
La donna parla con voce piana, come se descrivesse una ricetta di cucina, come se recitasse un copione provato e riprovato per essere sicuri di non lasciarsi sopraffare dall’emozione una volta saliti sul palco.
“Quindi ci ha fatto venire qui per dirci cose che già sappiamo…”
“No! Vi ho fatto venire qui perché l’unica cosa che posso fare è portarvi dalla custode del deposito, l’unica che conosce la sua ubicazione”
“Cioè?”
“Vi porto io da chi sa dove è l’ultimo deposito”
Il commissario si alza in piedi allargando le braccia muscolose.
“No, signora mia…lei ci dice, MI dice chi è questa custode e io le vado a fare una bella visita…chiaro? Mi aspettavo qualcosa di meglio da lei, signora…”
“Commissario…ho pochi giorni di vita…vorrei morire in pace…se le dico dove andare, la persona in questione le sparerà addosso e si farà uccidere o si ucciderà e il deposito resterà segreto…se volesse torturarmi non otterrebbe nulla…la vede quella flebo? E’ morfina…ma è un pagliativo…prendere o lasciare…la prego commissario…”
“Avvocato, lei non dice niente?”
L’avvocato scuote la testa. E’ ancora inebetito, forse non ha neanche ascoltato quello che hanno detto. La donna gli sorride e lo accarezza sul viso baciandolo sugli angoli delle labbra. L’avvocato sorride felice. “Che cazzo di avvocato è lei?”
La domanda del commissario non riceve nessuna risposta.
Il polizzioto bussa violentemente alla porta per farsi aprire dalle secondine. Subito dopo nel corridoio echeggiano le urla del commissario che parla al telefono.
“IO NON POSSO FARCI NIENTE…E? UNA SCENA PAZZESCA…IO…IO…IO NON C’ENTRO NIENTE…NON…”
Le urla vanno aventi per quindici minuti. Quando la porta si riapre un commissario esausto si ritrova di fronte  la donna e l’avvocato abbracciati e sorridenti.
“Forza fidanzatini…si va in gita!”
Dopo aver ricevuto l’assicurazione che una squadra speciale li avrebbe seguiti con un elicottero e dopo aver firmato mezzo chilo di moduli di fronte ad un direttore del carcere stranamente sollevato di vederli andare via, il commissario, l’avvocato e la donna sono montati in auto. L’auto rossa li ha portati sino all’autostrada, poi dopo lunghi chilometri imbocca il casello per uscire nei pressi di un piccolo paesino aggrappato sulle pendici di un monte boscoso. Ora imboccano una stradina sterrata si arrampica per un paio di chilometri tra macchie verdi e calanchi chiari. Nel cielo stracci di nubi vengono sfilacciate sempre più dal libeccio che si fa via via più aggressivo, lo senti nell’aria, non si fa ignorare.  La donna anziana tira un'altra boccata da una sigaretta con il filtro macchiato di rossetto. Aspetta di rivedere apparire l’auto scura dopo un'altra galleria d’alberi scossi dal vento che cerca di scavalcare le montagne. Nessuno passa li per caso, vengono proprio per lei. “Maktub…tutto è scritto, tutto è conosciuto all’Altissimo, niente è celato alla sua sapienza” pensa mentre soffia dalle narici una nuvola di fumo azzurro e si allontana dalla finestra per andare a mettere sul fuoco il bollitore per l’acque del tè. Stanno arrivando degli ospiti. Poi si volta e afferra il cellulare posato accanto ai fornelli. Compone lentamente un numero amico e guardando il nulla aspetta che qualcuno risponda. “Pronto? …si, sta arrivando. State pronti, non manca molto…si, certo…lo so! Basta ora! Ciao…ehi?... Ci sei ancora? …Anche io…”.
La comunicazione si chiude, mentre il bollitore da notizie di se.

5 comments:

  1. Bartel, sinceramente non pensavo che l'avvocato mi crollasse così... e la moglie? Perché si è sposato? Adesso sono abbastanza tentata di fare supposizioni sul seguito, ma non mi sembra corretto... spero solo che qualcuno sopravviva! A presto, Della

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  2. Non sono molto d'accordo con il commento di Della, spero che non me ne voglia. Non amo i personaggi eroici che non hanno contatto con la realtà. Gli esseri umani, le persone, sono proprio come tu le racconti: deboli e meschine. Solo quando è troppo tardi concedono spazio ai sentimenti che diventano rimpianti. Bravo.

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  3. Ciao Bartel e ciao Penny! Naturalmente non me la prendo a male, ma ci tengo ad articolare il mio parere. Se l'avvocato avesse mantenuto un certo contegno lo avrei giudicato coerente con la sua meschinità, appunto, non eroico. Questo suo crollo emotivo mi sembra un po' eccessivo o forse troppo repentino, come pure il fatto che lei, pur essendo morente, lo chiami "amore"... lei è senz'altro una donna forte e mi sarei aspettata maggiore fermezza, soprattutto perchè credo che lei, in passato, sia stata abbastanza ferita dallo scarso coraggio di lui ad inseguire i loro ideali. Se l'avvocato ha resistito lontano dal suo grande amore per tutto questo tempo (e si è pure fatto una famiglia di facciata) è senz'altro un uomo che si è costruito una bella scorza di indifferenza, di distacco: magari dentro di se avrebbe voluto abbracciarla, piangere, ma credo che, realisticamente, non avrebbe potuto sciogliersi, o essere sincero dopo anni di bugie, in un così breve lasso di tempo!
    Naturalmente questo è solo il mio modesto parere e devo dire che sono contenta di discutere di tali "oscure materie". Altrettanto naturalmente attendo il seguito, non si può giudicare una storia incompiuta!
    Un saluto a tutti,
    Della

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  4. CArissime Della e Penny, a me è capitato.
    Mi è capitato di perdere e di ritrovare e a un passo dal ritrovare giurarmi che avrei mantenuto il controllo, che niente sarebbe cambiato, che io ero io e basta. Poi dal profondo di un luogo che neanche io conosco bene è risalito un uomo che avevo sepolto. E non c'è stato niente da fare. Anni cancellati in un secondo. E anche per lei, come se io fossi uscito per una passeggiata, per andare a comprare le sigarette (non fumo) e fossi tornato in quel momento. Le stesse parole, gli stessi gesti anche se erano passati quindici anni e due matrimoni e due figli e viaggi e case e città e soldi e tagli di capelli. Ecco perchè ho descritto quello che avete letto. Lo conosco, conosco lo scricchiolio di un muro di bugie dette a se stessi che crolla improvvisamente. Ciao e grazie della vostra passione per le mie storie. Vedrò di finirla as soon as possible. Ciao
    BArtel

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  5. Io non ho mai vissuto una storia simile, ma credo che gli esseri umani di fronte al proprio vissuto, mai veramente passato, e di fronte alla morte si pieghino come giunchi al vento. Saluti ad entrambi. :o)

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