Rat race

Running

Friday, February 25, 2011

Attenzione bloggers, guardatevi nelle tasche...

Questo potrebbe essere un gioco di società. O un indagine sociologica. O una puttanata (pardon, escortata). Ieri  mattina cercavo il cellulare tra le venti tasche del mio giaccone e ho cominciato a svuotarle. Cosi ho accumulato sulla mia scrivania le chiavi di casa, una penna nera , delle graffette, la mia fidata chiavetta USB, una cartolina da attaccare ad un armadio in studio, un oggetto strano che serve da antistress più che ad aumentare la forza della stretta di mano. Ho guardato gli oggetti (molto metallo, molto nero, il mare) e mi sono detto "però, che bel riassunto...quello che ho in tasca mi somiglia..." e trovato finalmente il cell ho shootato una foto "artistica" e postata sul mio blog. La butto li...se qualcuno ha voglia può fare lo stesso, inviarmi la foto a bartelboom@virgilio.it, io posterò tutto sul mio blog. Chissà che non esca fuori un ritratto "artistico" (veritiero?) di chi scrive tra queste pagine letterarie (fatte di lettere). Ad maiora. Bartel

Tuesday, February 22, 2011

Un lungo luogo freddo

La pioggia scivola tra i rami intrecciati degli ippocastani cresciuti ai due lati del viale oggi butterato di pozzanghere in cui un si specchia no per un attimo nuvole rapide ed incazzate.    Il vecchio sotto l’ombrello segue il bastardino pezzato bianco dall’altro capo di un guinzaglio elastico blu. Il vecchio circumnaviga le pozzanghere, fermandosi a volte di fronte ad imprese troppo ardue mentre il bastardino disegna antiche circonferenze di caccia tra gli alberi. Una traccia invisibile lo attira lungo uno stretto sentiero laterale disegnato nel fango e che si curva nascondendosi  tra i cespugli.  Il bastardino si volta e chiede permesso.
 “ Va bene, va bene andiamo...mi devo proprio sporcare eh?” il vecchio indossa un impermeabile chiaro che una volta riempiva completamente, mentre ora si limita a a sporcarselo per far contento il suo cane-amico-compagnia. “Dai, avanti, muoviti!”. Il cordone ombelicale blu si tende poi di allunga con un leggero sibilo perdendosi dietro la la curva tra i cespugli trascinato dall’istinto del bastardino che si ferma annusa l’aria con il suo muso poco elegante e ricomincia a trascinare il guinzaglio. A malincuore il vecchio impermeabile sotto l’ombrello grigio si fa trascinare. Ora padrone e cane sono tra gli alberi e l’aria bagnata alle loro spalle si  turba improvvisamente. Un’ombra longilinea attraversa il viale ad ampie falcate. “Questi qui corrono anche sotto la pioggia. Deve essere una specie di droga.” Il bastardino comincia ad abbaiare con i suoi piccoli colpi di tosse che indicano seria impazienza. “ Arrivo, arrivo.” Silenzio. Il cordone blu si affloscia, poi improvvisamente si accorcia e il bastardino si rifugia ad orecchie basse dietro le ginocchia del vecchio . “Che c’è Billy? Cosa hai trovato?” Improvvisamente la pioggia aumenta d’intensità, bussa sull’ombrello dopo essere riuscita ad infilarsi tra i rami abbracciati in alto. Il viale in lontananza sbiadisce dietro la tenda d’acqua . Billy gira intorno nervoso, la coda curva tra le gambe sottili, puzza di paura e neanche la carezza del  vecchio riesce ad anestetizzarlo. “Cosa c’è? Cosa hai trovato? “ Il vecchio si inginocchia sporcando di fango l’orlo dell’impermiabile. “Dai non avere paura ci sono io. Andiamo a vedere su…” Billy non reagisce allo strattone gentile del guinzaglio. Il vecchio lo  guarda carezzandosi  la guancia ben rasata, si volta verso il il sentiero che si nasconde tra  i cespugli e sparisce tra alberi di cui non ricorda il nome. Billy comincia ad uggiolare. Il vecchio inspira profondamente come faceva in alcune notti della sua gioventù, quando non decidere significava morire e decidere  inguaiarsi. Lega il guinzaglio al tronco più vicino e carezza Billy tra le orecchie “Grande cane da guardia sei. Aspetta qui e stai buono”. Gli occhi liquidi di Billy seguono l’ombrello e il vecchio che si allontanano. Il passo del vecchio si è fatto stranamente risoluto. Anni di fabbrica hanno reso la paura qualcosa a cui pensare dopo, alla fine della storia, quando  non può più paralizzarti perché l’attimo e passato e se te la fai sotto non se ne accorge nessuno.  I passi del vecchio curvano con il sentiero. Fango, alberi, pioggia. “Ehi Billy, qui non c’è niente”. Qualche altro passo perché il vecchio pensa che Billy non può essersi spaventato per niente, deve aver annusato qualcosa, magari un gatto morto. Niente. Tronchi bagnati, fango e naturalmente pioggia che scivola intorno. E una voce che cola in mezzo.
“Nessuno guarda…nessuno vede…”. Il vecchio alza lo sguardo verso la voce maschile e liquida , sposta la cupola dell’ombrello per cercare intorno la fonte di quelle parole e cosi gocce calde di pioggia rossa gli rigano il viso sporcando poi l’impermiabile mentre le pupille si dilatano. La voce è stata vomitata da un uomo nudo crocefisso tra i rami alti. I suoi occhi piangono sangue  da orbite vuote che guardano oltre la pioggia.  Il vecchio segue la direzione dello sguardo del crocefisso e scopre altre figure molli appese ad altri alberi introno. Due, tre, quattro sacchi di carne pallida e bagnata che colano sangue formando un cerchio in cui rimbalza la voce sempre più flebile  “Nessuno vede…nessuno…”.  Silenzio di pioggia. Sul sentiero più in là Billy abbaia di vergogna. Si è ricordato della fedeltà tradita, mentre il vecchio affonda finalmente nella paura. Le sue gambe se ne accorgono e si piegano lasciando il vecchio seduto sotto i crocifissi ciechi.

Thursday, February 17, 2011

Libeccio (XII) Fine

La donna sorride indossando lo stesso sorriso di suo figlio e un vestito grigio-verde. I suoi capelli raccolti in una specie di chignon lasciano scoperto un collo da morsi che il commissario osserva ipnotizzato, bevendo fiele secreto da qualche ghiandola del suo animo. Ha fame. Poi dietro la donna con bambino appare un signore attempato, anche egli sorridente.  Il distinto signore si scopre il capo mostrando una testa lucida di solito coperta da una coppola alla moda, in puro stile irlandese, estrae il fazzoletto dal taschino della giacca e con gesto agile si asciuga il leggero sudore dalla pelata. Sorride e saluta anch’egli. Poi dietro di lui arriva una coppia di ragazzi e poi un uomo sui quaranta e una signora sui cinquanta con una pantalone rosso e un ragazzo di colore con una maglia di tre taglie più grande e pantaloni con il cavallo alle ginocchia. E poi altri e altri ancora che scivolano sorridenti e cortesi dentro il deposito e si sparpagliano tra gli scaffali e cominciano a toccare i libri.
Il commissario sente tamburi nel petto e nelle orecchie.
La folla che ha intorno adesso è fatta da cinquanta, cento fra uomini e donne, vecchi, ragazzi, qualche bambino molto piccolo in passeggino o per mano alla madre o al padre, ragazzi con pezzi di metallo attaccati al viso o con occhiali spessi, un paio di uomini incravattati, una ragazza alta con stivali neri e coda castana, una divisa da guardia giurata con dentro uno che ha dimenticato come usare il rasoio, una vecchia con un volpino in braccio. E tutti lo guardano. Marta lo guarda e Silvana e l’avvocato e la vecchina e il volpino e la guardia giurata e i bambini e il ragazzo down. Tutti intorno a lui con la radiotrasmittente nella mano sinistra e la destra che non sente più il peso della pistola invece sente tamburi nel petto e nelle orecchie e gli manca l’aria in quel sotterraneo pieno di gente, un fiume di gente. Tutti in cerchio intorno a lui. Tamburi che battono nel petto e nelle orecchie e nello stomaco. “Commissario…”
La vecchia Marta gli sorride.
“Come vede questi sono tutti terroristi…pericolosi terroristi…”
La pistola è inutile ormai.
La folla sorridente ha circondato gli scaffali e comincia a prendere libri che fa sparire sotto le giacche o nelle sporte della spesa o sotto il cappottino del volpino.
Mani gentilmente rapaci spolpano gli scaffali al momento grati per il sollievo.
Silvana non si regge in piedi e si accascia. Giorgio le cinge  la vita e la risolleva. Hanno terminato le parole e si guardano soltanto mentre altra gente arriva e alcuni cominciano ad andare via con la propria fetta di carta stampata ed idee. Massimo due libri a testa, e molti piangono dovendo separarsi dal terzo o quarto. Braccia si sovrappongono a braccia sempre più in alto, una allegra frenesia pervade anche i muri di cemento. L’intrepido signore calvo, tra i primi ad entrare è anche tra i primi ad uscire. Si avvicina a Giorgio e gli allunga una chiave d’auto. “Marta dice che le serve… è la vecchia Fiat Punto grigia poco distante dalla vostra Alfa…il pieno di benzina è un omaggio alla bellezza della sua signora!” e con un sorriso ed un inchino a Silvana indietreggia e scompare del flusso d’umanità in uscita. L’avvocato stringe la chiave nel pugno, guarda gli occhi socchiusi di Silvana e cerca, sopra quel mare brulicante di teste multicolori, il volto del commissario. I loro occhi si incontrano. Il commissario si guarda intorno, riporta poi lo sguardo negli occhi di Giorgio e annuisce.
Giorgio afferra per la vita Silvana e la trascina via verso la porta, nella corrente che si è creata vorticosa attorno a loro. Silvana biascica qualcosa, ma Giorgio non capisce. “..spetta…un a…”, ma sono già nella prima stanzetta e li la donna con un braccio di medusa riesce ad afferrare quello che Filippo aveva lasciato sul tavolino, un libro, e se lo stringe tra il seno e la gola, come un neonato piangente.  La gente intorno li lascia passare, ed improvvisamente sono fuori, nel parcheggio sotterraneo, mentre altre persone sorridenti arrivano, fari di auto si spengono e l’aria si fa più pesante grazie al contributo dei tubi di scappamento.
L’auto grigia li aspetta linda e con le portiere che mostrano rughe antiche e graffi recenti. Giorgio fa sedere Silvana e si piazza al volante. La voce del motore è amichevole, lo sterzo pesante. “Giorgio dove andiamo” La mano di Silvana cerca quella di Giorgio sul pomello del cambio.
 “In un posto qualsiasi ciccia, in un posto qualsiasi, ti importa?”
“No amore…oggi no”.
Silvana si abbraccia al suo libro e sembra assopirsi.
L’avvocato si aspetta di vedere nello specchietto retrovisore la testa del commissario incassata tra le spalle robuste, si aspetta un suo ripensamento furioso. Invece il commissario Luca Montroni è rimasto dentro.  E’ circondato dalla folla e sembra che veda per la prima volta altri esseri umani. La pistola è tornata a casa. Marta e Filippo gli sono accanto, come se fosse convalescente dopo una lunga malattia ed avesse bisogno di sostegno. Un sussulto improvviso, i muscoli del commissario si tendono e la sua testa si slancia in avanti e colpisce una, due, tre volte lo spigolo dello scaffale di metallo che ha davanti. Il commissario crolla sulle ginocchia, Marta e Filippo gli sono accanto. La vibrazione degli urti ha ghiacciato le quattro-cinque persone immediatamente vicine che ora, con le braccia ancora alzate e i libri nelle mani. guardano quell’uomo in ginocchio. Una goccia di sangue arriva sulla punta del naso del commissario e dopo aver fatto rapida la strada dalla sua fronte esita prima del tuffo verso il pavimento.
Incoraggiata da altro sangue vivo che arriva si decide ed esplode ai piedi dello scaffale.
“Commissario …ma che fa?”
Un sorriso doloroso appare ai lati della striscia di sangue.
“E’ una scusa come un’altra, non pensa Marta?”
“Si…si, una scusa come un’altra”.
Marta si china e bacia sulla guancia il commissario seguita a ruota da Filippo dalla parte opposta.
Fuori la Punto Grigia guadagna l’aria della sera e i riflessi dei lampioni che si accendono. Lo stomaco del centro commerciale vomita ancora altre auto e persone. In ogni auto libri. Nelle buste della spesa libri. Nei carrozzini libri. Uomini, donne e libri che scorrono via come sangue dalle viscere dell’ipermercato e inondano con delicatezza la valle e scivolano nelle strade sino all’autostrada e poi verso levante o verso ponente. Nel fiume che scorre via come acqua sporca, senza che nessuno ci badi, una piccola Fiat Punto grigia, 16 anni di asfalto e prossimo pensionamento, imbocca il casello direzione levante e si scioglie nel traffico silenzioso come una caramella nella bocca della sera. Le nuvole coprono il tramonto con una coperta fredda tirata su dal libeccio che schiaffeggia allegro le onde, le barche ormeggiate, gli scogli, le case gialle e rosse, i tetti e corruga la fronte di molti. Sotto le nuvole e nel libeccio, un  enorme calabrone meccanico ronza furioso e non sa dove colpire. La radio maleducata tace alle richieste isteriche di un poliziotto graduato, mentre i suoi uomini armati sbadigliano appoggiati ai fucili d’assalto.

Wednesday, February 16, 2011

Libeccio (XI)

La stanza è un lunghissimo corridoio, largo una decina di metri e lungo forse un centinaio, illuminato da file di neon e colmo di scaffali.
Gli scaffali sono allineati lungo le pareti bianche e al centro della stanza. Alcuni sono in metallo, molti in legno, faggio o abete, pochissimi in plastica dai colori brillanti, rosso-lacca, blu-elettrico, verde-mela. E tutti, tutti gli scaffali sono piegati sotto il peso di libri. Migliaia e migliaia di libri, tutti con le copertine dai colori pastello. Alcuni con copertine bianche. L’odore di carta e di inchiostro occupa ogni metro cubo di aria. La pistola diviene sempre più pesante nella mano del poliziotto e il suo braccio decide di riposarsi allungandosi lungo il fianco dell’uomo.
“Giorgio…mettimi giù…”Silvana ha riaperto gli occhi .”E’ bellissimo Giorgio, è bellissimo…Marta che bello!”
Silvana si avvicina ad uno scaffale ed accarezza il dorso dei libri riempiendosi gli occhi di tutto quel colore. Chiude gli occhi ascoltando per un attimo eterno tutte le parole d’inchiostro accatastate in quell’ultimo rifugio.
Anni prima, molti anni prima i libri di carta erano stati sostituiti dai libri elettronici. In poco tempo non si era stampato più nulla, tanto era possibile avere una intera biblioteca in un piccolo aggeggio di poche decine di grammi. Poi era stato vietata, per motivi ecologici, la stampa di qualsiasi libro o rivista, anche se come sempre libri di contrabbando o rari venivano stampati ancora in Cina o in Corea del Nord per essere venduti a prezzi folli a collezionisti che avevano bisogno di sublimare pulsioni varie collezionando ciò che è proibito. Intanto i libri venivano bruciati nei camini o nelle caldaie condominiali visto la loro inutilità e il prezzo sempre più elevato dei combustibili. Qualche maître à penser cerebralmente morto sfrutto ogni residua energia per  indire le “feste del progresso”, riti semi-pagani in cui si bruciavano libri in riva al mare.
Poi era accaduto quello che uno sparuto gruppo di pericolosi pensatori aveva previsto. Alcuni virus elettronici avevano cominciato a diffondersi come un incendio attraverso la rete Internet e avevano distrutto selettivamente intere biblioteche elettroniche. Gli ultimi libri rimasti erano stati messi sottochiave. All’inizio il problema era stato sottovalutato, intenzionalmente forse.  Gli antivirus che erano stati progettati avevano poi alcuni difetti, come quello di cambiare interi paragrafi, cancellare alcune parole e sostituirle con altre, cambiare il senso di interi capitoli, riscrivere storie.  Un vecchio scrittore di libri gialli denunciò il complotto di alcuni governi per “ controllare la stampa, i libri e le idee e quindi gli uomini”. Morì d’infarto la notte successiva. Alcuni intellettuali crearono il movimento ”1984”, seguirono proteste di piazza, cariche della polizia e morti. Alcuni giovani furiosi cominciarono ad assaltare gli uffici postali e le banche per finanziare la stampa clandestina di libri, classici e nuovi. Erano rapine lampo e mai violente, sino a quando, dopo una rapina, una vecchietta fini sotto un’auto in fuga, in una cittadina della Francia.  La risposta della Commissione Europea fu violenta: leggi speciali, sospensione delle garanzie sulla libertà personale, caccia all’uomo. Il movimento 1984 sembrò scomparire dalla faccia della Terra, in realtà si era nascosto tra le pieghe della vita quotidiana mentre nuovi libri elettronici venivano pubblicati, mentre grandi classici venivano o dimenticati o pubblicati in versioni “aggiornate al gusto del pubblico moderno”.
Intanto, durante alcune perquisizioni libri appena stampati venivano trovati in cantine o solai, nei portabagagli di auto sportive o di utilitarie con motori a GPL. Ogni anno però se ne sequestravano sempre meno: la guerra stava per essere vinta definitivamente. Per stampare libri servivano soldi e coperture ed entrambi ormai erano introvabili per quelli del gruppo 1984, decimati da agguati e tradimenti. Ora il commissario Montroni era nell’ultimo deposito italiano, uno degli ultimi in Europa. La pistola nelle sue mani sembrava inutile ormai, aveva vinto, avevano vinto. Allora perché quel nodo allo stomaco? Solo stanchezza e tensione e tutto il resto che non si può tenere a bada. Vero?
Improvvisamente il suo istinto percepisce qualcosa alle sue spalle e voltarsi è questione di una frazione di secondo. Sull’uscio appare una immagine incoerente per quel posto: una donna con una borsa della spesa e un bambino di un paio di anni in braccio. “Buongiorno a tutti!”

Monday, February 14, 2011

LIBECCIO (X) almost done


“Ecco commissario, giri qui a destra…siamo arrivati”
L’Alfa rossa si infila in una strada a quattro corsie che porta ai parcheggi di un gigantesco centro commerciale multipiano plurimarche megaeconomico incassato in una valle poco distante dall’autostrada e da un paesino. Le case del paese restano aggrappate sul fianco della montagna, a distanza di sicurezza, spaventate da quell’animale colorato che ingoia e poi vomita auto e persone, accucciato sornione a fondovalle.
Il commissario rallenta, abbagliato dal riverbero delle vetrate incorniciate da muraglie color mattone.
“E adesso?”
“Vada giù all’ultimo livello del garage sotterraneo”
Il commissario non può non apprezzare l’intelligenza di questi terroristi che nascondono il loro deposito in bella vista e non può non pensare alle decine di persone che sicuramente erano e sono a conoscenza di tutto. Porci…
L’abitacolo diventa buio mentre uno stridore di gomme conferma che l’auto si sta avvitando intorno ad una rampa a spirale che la porta sempre più nelle viscere ordinate del centro commerciale.
Sul sedile posteriore  Silvana ha sete e una febbre che la divora mentre si stringe tra le braccia di Giorgio che aspira con metodo l’odore dei suoi capelli sudati.
“Commissario… parcheggi pure… siamo arrivati!”
L’auto parcheggia tra due strisce gialle e un sospiro della vecchia che giocherella con il manico ricurvo del suo amico bastone:
“Rosso a squadra controllo…siamo al secondo livello del parcheggio sotterraneo… area 05…mi sentite? Passo…”
Solo crepitio di onde invisibili ed incoerenti che portano messaggi incomprensibili in bottiglie di vetro etereo.
“Rosso a squadra controllo…cazzo mi sentite?”
La vecchia signora ha abbassato il parasole munito di specchietto e si sta ravvivando il rossetto.
”Rosso a squadra…rosso a squadra…mi sentite?! Passo…”
Lo sguardo del commissario passa dalla radio allo specchietto retrovisore occupato dall’ ombra di un uomo che abbraccia qualcuno rannicchiato al suo fianco. Il vetro dietro l’ombra si affaccia sul grigio deserto di un garage illuminato da pochi neon, uno in particolare, capriccioso ed indeciso, tenta di spegnersi con discreto successo.  Poi gli occhi del poliziotto fanno tappa sul viso piatto della vecchia che allarga la ferita fresca delle sue labbra per mostrare un sorriso giallo nicotina.  Come un bambino spaventato dal buio stringe il suo pupazzo di peluche, cosi il commissario estrae la sua Beretta da sotto l’ascella.
Parole sputate rotolano sulla canna scura della pistola, piroettano intorno al mirino e si tuffano nello spazio tra la pistola ed il bersaglio, tra il metallo e la carne rugosa del viso di Marta.
“Bravi…bravi, bravi…mi portate in un bel posto sicuro e poi mi date una bella botta in testa e mi scappate sotto il naso tra la folla del centro commerciale…ma bravi, mi avete preso proprio per un coglione vero? Terroristi del cazzo… voi e le vostre maniere e il tè e le lacrime…bravi cazzoni! FUORI! FUORI !!! Tu vecchia puttana alza le mani e fuori e tu stronzo porta fuori quella mignotta e niente scherzi!”
Il poliziotto abbaia furioso mentre salta fuori dall’auto, la rabbia sguazza nella saliva della sua bocca mentre con il braccio teso  sul tettuccio dell’auto tiene sottotiro i suoi tre compagni. Silvana è troppo debole, si affloscia al fianco dell’avvocato che la sostiene.
La pistola del commissario gira intorno all’auto mantenendo il suo sguardo mortale fisso sui tre nemici.
“Tu coglione prendila in braccio…e restate fermi li”

“Commissario, la prego si calmi…per favore non c’è bisog…”
“Tu sta zitta vecchia puttana!”
“Commissario per favore…stia calmo”
“Anche tu stronzo…zitto, hai capito zitto o ti faccio sputare i denti…”
“Commissario…il deposito è dietro quella porta grigia”
La vecchia indica con il bastone una porta distante vietata al personale non addetto.
“Vai ad aprire allora!”
La vecchia si volta e con il suo passo claudicante detta un ritmo lento alla strana processione: apre vecchia tennista con bastone seguita da avvocato con primo amore morente tra le braccia seguito da pistola con poliziotto dolente e rabbioso attaccato.
Le nocche della mano sinistra della vecchia colpiscono tre volte e poi ancora due la porta grigia.
Una voce risponde attraverso il metallo.
“Onde rumorose sulla sabbia”
“Tu dici “anche io!”” risponde la vecchia
“E sento solo il tuo cuore, ora” risponde la voce nascosta mentre la porta silenziosamente si apre.
Il commissario Montroni  stringe la pistola con tutte e due le mani mentre la sua radio è sparita in una tasca del giubbotto.
Due braccia di un maglione verde stringono con forza la vecchia Marta .
“Ciao Filippo!”
“Ciao, ciao Marta, che bello vederti, ciao Marta, come sono contento Marta, Marta, che bello che sei qui!”
Marta si volta verso i suoi compagni e al suo fianco appare un ragazzo di 15-16 anni con grandi occhiali quadrati, capelli corti e maglione verde.  Un ragazzo indubbiamente Down.
“Ciao, io sono Filippo” e la sua voce nasale spinge la sua mano alla ricerca di strette, ma trova una donna semi-incosciente tra le braccia di un signore con un’espressione che dovrebbe essere di disperazione e un altro signore biondo con la faccia scura e una pistola tra le mani. 
Filippo si spaventa e si abbraccia a Marta.
“Su Filippo…tranquillo…sono amici e lei non sta bene…su entriamo…commissario, per favore la pistola…”
La vecchia si appoggia al ragazzo e supera la soglia seguita dagli altri. Ultimo il commissario si volta. Le colonne di cemento truccate con strisce gialle, sparse nel vuoto silenzioso del garage sembrano guardalo. Entrano tutti in una piccola stanza rettangolare, occupata da un tavolino, una lampada in plastica e una sedia pieghevole. La stanza è illuminata dall’alto da un neon protetto da una griglia impolverata e termina con un’altra porta grigia.  Filippo appoggia qualcosa sul tavolino e si volta sorridente. La paura ha lasciato sul suo viso due chiazze rosse che scolorano rapidamente.
“Marta lo sai cosa fa un computer nel mare? Lo sai? Non lo sai, vero? Te lo dico io eh? Te lo dico io…Naviga…hai capito? Naviga!”
La risata di Filippo è un singhiozzo in apnea che gli solleva le spalle grasse e gli scopre i denti da bambino.
“Ah, ah, ah…proprio divertente…dai, apri il deposito Filippo, il nostro amico qui vuole vederlo”. Marta si volta verso il commissario e i loro occhi si incontrano, mentre Filippo estrae un grosso mazzo di chiavi, ne sceglie con cura una che infila nella serratura.  La porta in metallo si apre rapidamente inghiottendo il ragazzo, seguito da Marta che allunga la mano per aiutare l’avvocato a trasportare  Silvana. La pistola e il poliziotto entrano per ultimi. Il commissario osserva le spalle curve dell’avvocato davanti a se. Poi l’avvocato si sposta di lato e lui lo vede. Vede il deposito. Finalmente.

Wednesday, February 9, 2011

Libeccio (IX)


Il cancello arrugginito, una volta di colore verde, è spalancato e l’auto rossa lo attraversa fermandosi nello spiazzo ghiaioso davanti alla casa colonica. Il commissario guarda la porta chiusa della casa e gli alberi scuri che la circondano e che si agitano infastiditi sotto il Libeccio.
“Rosso a squadra controllo…rosso a squadra controllo …mi sentite? Passo…”
La voce metallica che gli risponde lo rassicura e fa cessare quel brivido leggero, quel pizzicore che dalla base della nuca gli scendeva lungo la spina dorsale.
“Squadra controllo a rosso, vi sentiamo forte e chiaro e abbiamo rilevamento satellite…visivo tra cinque minuti…aspettiamo istruzioni…passo”,
“Rosso a squadra controllo…vedo movimento nella casa… restate in ascolto…passo”
“Squadra controllo a rosso…ricevuto…restiamo in ascolto…”
La porta della casa si apre lentamente e sull’uscio appare una donna. Grosse ciocche di capelli neri combattono nel vento con ciocche grigie ed insieme nascondono il suo volto squadrato mentre una sventolante gonna zingaresca ne tradisce le forme più che robuste. Un bastone nella mano destra avverte che la donna zoppica per un fallo cattivo della vecchiaia.
Silvana si è sollevata nel sedile posteriore e sorride.
Il commissario ringhia estraendo le chiavi dell’auto: “Voi restate qui!” ed esce nel vento.
“Buongiorno…posso aiutarla?” La voce dolce della vecchia arriva attutita alle orecchie del commissario, poi la vede salutare con la mano qualcuno nell’auto.
“Sono il commissario Montroni. E’ lei Marta Martini? La guardiana?”
Il sorriso della vecchia sposta il grosso neo scuro che abita sulla sua guancia sinistra.
“Commisssario! Che piacere…”
Con agilità la vecchia sposta il bastone nella mano sinistra per  mentre la destra si allunga verso il poliziotto che la stringe dubbioso.
“Ma venga dentro…faccia venire anche loro, non si può parlare qui fuori con questo vento…”
La vecchia scosta le ciocche bianco-nere e sorride cordiale. Anni di lavoro nelle fogne della vita hanno dotato il poliziotto di un sesto senso per il pericolo, ma ora tutti gli allarmi tacciono e quegli occhi scuri circondati di rughe antiche gli fanno deporre le armi. Senza voltarsi il commissario fa un cenno in direzione dell’auto e con la coda dell’occhio vede Silvana e l’avvocato trascinarsi a fatica verso la casa.
La vecchia è già entrata e mantiene  la porta aperta. Il commissario entra in un piccolo ingresso luminoso seguito dagli altri due. Le due donne si guardano e si abbracciano come madre e figlia.
Il commissario è stanco di lacrime che per fortuna restano confinate alle palpebre.
La vecchia stringe la mano anche all’avvocato.
“Tu devi essere Giorgio…piacere…lo sai che sei un animale?”
L’avvocato apre le labbra per parlare, ma nessuna voce ne esce.
“Venite …faccio strada…prego accomodatevi…ho giusto preparato l’acqua per il tè…gradite?”
“No, non gradiamo…signora deve venire con noi…adesso!”
La vecchia Marta claudicante si volta sorridente.
“Commissario…la vita è breve, troppo breve per pensare solo a cose brutte…facciamo presto, glielo prometto…”
La donna inclina la testa da un lato come fanno i bambini quando aspettano una risposta che soddisfi i loro desideri. Per la prima volta dal risveglio il commissario ripensa ai propri figli lontani e annuisce con la testa.
“Va bene, ma facciamo presto…”
La stanza in cui Marta ha fatto accomodare i suoi ospiti è ampia e le sue pareti sono ricoperte di acquerelli che ritraggono scorci della costa. Su di una parete tra le due finestre, sono invece allineate fotografie di gente che sorride all’obiettivo del fotografo durante cerimonie e pic-nic primaverili. In una foto in bianco e nero una Marta ragazzina sorride mostrando il suo neo e una piccola coppa di latta.
“Io giocavo a tennis, sà commissario?…prima di sposarmi…me la cavavo sà?!”
La vecchia è riapparsa con un vassoio tremolante a cui  Giorgio corre in aiuto.
“Ma che fate in piedi? Sedetevi su…cara tu accanto a me qui…coraggio, commissario si sieda”
La forza di gravità piega le ginocchia stanche del poliziotto. Il divano è comodo e odora di pulito, come tutta la casa. Il commissario si chiede come faccia quella vecchia a pulire tutto da sola.
“Questo è un tè giapponese che io adopero solo in occasioni speciali…e direi che questa lo è…non credete? La fine di un’epoca…si chiama Gyokuro…amo il suo sapore dolce e questo colore cosi brillante…mi mette allegria!”
I quattro bevono in silenzio, mentre i loro occhi si incontrano e parlano. Fuori il vento comincia a bussare con insistenza sui vetri.
Il commissario è il primo a finire e posare la tazza sul tavolino basso tra i divani.
“Bene signora…grazie del tè…buonissimo…ora…dov’è il deposito?”
“Lo sà commissario che lei è proprio un bell’uomo?…anche se un po’ frettoloso…non sarà cosi in tutte le cose spero!”
Per l’ennessima volta in quella giornata il commissario si sente completamente fuori luogo, fuori tempo, fuori sincrono. Gli sembra che quella stanza, quella casa accogliente, quella gente che evidentemente si conosce da anni, quel vento fastidioso non facciano che prenderlo in giro e ridere di lui. Lui è un corpo estraneo che con fatica cerca di entrare in una nuvola densa di rapporti, sentimenti e codici. E sente di non avere né la forza né la voglia di farlo. Eppure è un poliziotto e se non si dà una mossa qualche superiore o un magistrato lo ridurrà a brandelli.
“Signora, non ho voglia di ridere, né di scherzare…”
“Marta…per favore…”.
Silvana ha posato la tazza e le sue mani tiepide stringono la mano di Marta.
“Va bene, va bene, ormai…è inutile tergiversare, rimandare…è tutto finito. Prendo la borsa e andiamo, vi ci porto.  E’ vicino ad Imperia, in mezz’ora siamo lì. Tu piccola mia come stai?”
“Stò bene, non ti preoccupare” sorride stanca Silvana.
La vecchia si alza a fatica e lentamente si allontana sparendo in una stanza accanto seguita dallo sguardo attento del commissario. Ne riemerge qualche attimo dopo. Indossa una giacca verde e tenta con fatica di sistemarsi una grossa borsa marrone a tracolla. Improvvisamnte solleva il pastone puntandolo verso il commissario.
“Pronti! Armiamoci e partiamo!”
E parte a lento galoppo verso la porta d’ingresso.
Dopo essere uscita si volta per attendere gli altri e chiude la porta a chiave, carezzandone per un attimo il legno vecchio.
I quattro si avvicinano all’ auto mentre il vento porta il ronzio lontano di un elicottero. La vecchia Marta di prepotenza scalza l’avvocato dal sedile anteriore:
“Tu, bello, faresti meglio a stare con Silvana!”
La donna sorridente si accomoda accanto al commissario.
“Rosso a squadra controllo…ci muoviamo…direzione Imperia…passo…”
Silenzio elettrico.
“Rosso a squadra controllo…ci muoviamo…direzione Imperia…mi sentite…passo…”
 Silenzio ventoso.
“Rosso a squadra controllo…mi sentite? …rosso a squadra controllo…mi sentite?…ci muoviamo…direzione Imperia…mi sentite…passo…”
Silenzio umido
“Qui squadra controllo…vi sentiamo e vi vediamo rosso…problemi di turbolenza…vi seguiamo con contatto visivo direzione Imperia..passo”
La vecchia si accorge del sospiro di sollievo del commissario. “Coraggio commissario…non si preoccupi, va tutto bene…le spiace se ci sentiamo un po’ di musica allegra?”
Il sorriso carico di rossetto accompagna la mano della vecchia dalla borsa al lettore CD dell’auto che affamato ingoia un disco color oro.
Il commissario non ha il tempo di reagire, ma riconosce subito gli accordi sulla tastiera e meravigliato, guarda prima il volto sorridente della vecchia Marta, poi la sua mano rugosa che carezza la sua coscia destra.
I get up, and nothing gets me down…
“La piace commissario?E’ una vecchia canzone dei Van Halen…JUMP…mi pare adatta…non crede?”
You got it tough, I’ve seen the toughest around…
Il commissario allontana la mano della vecchia ingranando  la marcia.
L’Alfa rossa si lancia a capofitto verso il fondo della vallata e la strada per Imperia. Dentro tutti sorridono tranne il poliziotto.
Go ahed, jump. Jump!