Rat race

Running

Wednesday, August 29, 2012

L'uomo calvo (attento a ciò che desideri)

Oxana Rishnyak
Seguii al piccolo trotto la segretaria attarverso un labirinto di piccoli uffici  sino ad uno stanzone molto illuminato al primo piano. Quando entrammo, una ventina di occhi si girarono verso di noi. "Dottor Lavagni...ecco il suo nuovo adepto...appena assunto direttamente dal Direttore generale!!!". L'uomo ,a cui la segretaria si era rivolto, era l'unico seduto nella sala.  Aggrottò la fronte guardandomi come si guarderebbe uno sceso da una astronave in mezzo all'autostrada e cerco di chiedere qualcosa alla dolce signora che mi aveva accompagnato. Non ci riusci. "Lei" disse la segretaria girandosi verso di me con il busto strizzato in un golfino di lana "non dimentichi di passare dal mio ufficio domani mattina alle otto...se vorrà restare ancora con noi, si intende..."
Il suo sorriso alla nicotina mi provocò una gastrite istantanea che servìa risvegliarmi dallo stupore in cui galleggiavo da un quarto d'ora. Mi risvegliai appena in tempo per accorgermi di essere circondato da giovani della mia età che mi osservavano con un misto di odio e curiosità. A rompere il ghiaccio con cordialità fu il Dottor Lavagni, l'uomo seduto: " E tu chi cazzo saresti?"
Io non capivo nulla di quanto stesse accadendo, sentivo soltanto fortissimo il desiderio di sparire da quell'area geografica e di essere teletrasportato nella remota e ospitale regione del deserto dei Gobi. Il teletrasporto non funzionò e mi ritrovai con la mia mano destra sudata che si slanciava oltre il tavolo ampio e ingombro di carte del Dottor Lavagni. "Buongiorno, mi chiamo Bartel..."
La mia mano resto sola sospesa nell'infinito spazio di quella scrivania.
Con il tempo capii  tre cose riguardo quell'uomo in questo ordine: perchè non sia alzò a stringermi la mano, perchè mi accolse cosi simpaticamente e perchè era sempre incazzato,.
Il dottor Lavagni era stato vittima di un incidente stradale un paio di anni prima. Alla guida dell'auto c'era la sua amante di allora, una giovane segretaria dell'ufficio fondi con cui stava litigando. Il litigio terminò fuori strada. Lei si ferì seriamente, lui ci rimise la spina dorsale e ci guadagnò una sedia a rotelle e un leggero sputtanamento. Io avevo appena preso il posto destinato al nipote preferito della legittima consorte. Si chiama merce di scambio.  Io non ero previsto. A posteriori giustificai la magnifica accoglienza. Per quanto riguardava i miei nuovi colleghi, prima pensarono che io fossi il parente prescelto di cui tutti mormoravano, e mi odiarono. Poi si  accorsero dalle parole del capo che ero altro, e mi odiarono di più.
Anche il Dottor Lavagni cominciò ad odiarmi. Lo capìì quando aggirò la scrivania con un agile movimento della sua sedia a rotelle cromata e mi si parò davanti. Mi fissò dal basso in alto con occhi furiosi parzialmente coperti dalle sopracciglia chiare, ma cespugliose e mi disse alcune parole che non scorderò mai: "Il tuo lavoro qui è tutto un errore...tu sei un errore!" e usci dalla stanza. Diretto alla direzione, immaginai. Qualcuno dentro di me sorrise al piccolo calambour, mentre restavo fermo nell'aria cristallizzata di quella stanza tra quel piccolo gruppo di ragazzi miei coetanei. Poi qualcuno si mosse per tornare alla propria scrivania, il gruppo si sciolse improvvisamente. Restai solo in piedi. Poi un' anima gentile mi indicò senza parlare una piccola scrivania sgombra all'estrema periferia dello stanzone. Io la raggiunsi, poggiai la mia borsa vuota e mi sedetti. Guardai il muro di fronte, bianco e spoglio e sorrisi senza che nessuno mi vedesse. Era tutto completamente pazzesco, sicuramente c'era un errore e tra pochi minuti sarebbero arrivati per scusarsi brevemente e mettermi velocemente alla porta. Era stata una mattinata interessante. Averi avuto qualcosa da raccontare la sera. Mi appoggiai allo schienale e cominciai ad aspettare con pazienza e rassegnazione. Ero nato perdente, non avevo diritto alla fortuna, solo agli errori crudeli. Ne apporfittai per riposare e rilassarmi, e mi addormentai.

Tuesday, August 7, 2012

L'uomo calvo (your wish is my command)

Ci si abitua. Ci si abitua a tutto, o quasi. Io mi abituai a Dave e Bud. Parlavamo, ridevamo, io scrivevo, loro raccontavano. Gli parlai di Hemingway e di Proust, loro mi fecero capire la differenza tra una Glock e una Beretta. In quel periodo avevo la serena consapevolezza di essere pazzo, pazzo per necessità, pazzo per non impazzire. Non trovavo lavoro, mio padre moriva e si trascinava con se mia madre, tutto era arrivato ad un punto morto e la solita diga innalazata con anni di sacrificio crollava e i miei occhi si ritrovarono inondati di acqua amara una sera solitaria come questa. La mano enorme di Bud si poggiòdelicatamente sulla mia spalla. Non abbastanza delicatamente da non farmi spaventare.
Non mi chiese nulla, ma capivo dai suoi occhi che capiva. Sentii la voce di Dave alle mie spalle: "Amico, possiamo fare qualcosa per te?"
"Certo!" risposi mentre una lacrima mi scivolava in bocca. "Trovatemi un sacco di soldi per aiutare i miei e un lavoro strapagato!".
Dave mi sorrise e si sedette sul divano. Bud mi diede un colpetto sulla spalla che mi fece male e andò a sedersi accanto a Dave. Passarono diversi minuti nel silenzio, mi calmai, andai in bagno a sciaquarmi il viso e quando tornai erano andati. Sistemai il divano letto per la notte e piansi al buio.
Il mattino seguente mi aspettavano in banca per un colloquio per uno stage non retribuito. Ci andai con la mia cravatta migliore, una delle due che possedevo. Un usciere in divisa mi guardò schifato. Lo ricambiai. Seguii le indicazioni che mi aveva biascicato e mi ritrovai davanti alla porta di un vice-direttore aggiunto. Bussai. Da una porta accanto spuntò la testa cotonata di una segretaria di mezz'età e mezza altezza. "Il dottore non è ancora arrivato, ha telefonato che arriverà tra un paio d'ore...lei era qui per lo stage, vero?"
Non feci in tempo a rispondere. Una porta alle mie spalle si aprì all'improvviso e voltandomi mi ritrovai faccia a faccia con un uomo alto e dai capelli completamente grigi come il doppiopetto che indossava. L'uomo si bloccò, probabilmente spaventato dal fatto di trovarsi davanti un ostacolo improvviso. Lo guardai negli occhi e capii che non ero io il motivo del suo spavento. Era sudato e i capelli erano leggermente scarmigliati. Sudava. Sembrava stesse fuggendo da qualcosa o qualcuno. "L...lei..chi è?" mi fece.
La segretaria rispose per me: "E' un giovane che il Dott.Capizzi ha convocato per un colloq..."
"Va bene...va bene...non importa!" La interruppe stizzito.
"Venga...venga dentro!!!"
L'uomo dal doppiopetto grigio mi spinse nel suo ufficio e chiuse la porta. Vi si appoggio e tirò fuori un fazzoletto con cui si tamponò la fronte. Era un signore distinto, sui sessant'anni, ma dritto come un fuso. Mi indicò un poltrona in pelle davanti ad una scrivania in ciliegio che odorava di cera. Mi sedetti e lo osservai guardarsi con circospezione intorno, come se si aspettasse che da un momento all'altro potesse crollargli il soffitto in testa. Si sedette anche lui e mi accorsi che respirava con difficoltà. Appoggiò le mani con le dita distese sul piano della scrivania.
"Senta Lei...come...come si chiama?"
Gli risposi. Risposi anche ad altre domande banali, mentre nasceva in me il sospetto di essere vittima di qualche laida candid camera. Uscii da quella stanza dopo 20 minuti con un foglio ripiegato tra le mani che consegnai alla segretaria di mezz'età che quasi me lo strappò dalle mani. Lo aprì e lo lesse. Lo esse due volte muovendo le labbra secche cariche di rossetto. Mi guardò dritto in faccia abbassando un pò gli occhiali.
"Bene, dottore...benvenuto allora." Mi disse secca porgendomi la mano magra e carica di bracciali. Ero appena stato assunto.

Friday, August 3, 2012

L'uomo calvo (perchè ho smesso di scrivere)

Li guardavo, certo di trovarmi in un sogno.
 "Magari vi ho sognato... vi sto sognando perchè vi ho descritti...meglio...vi ho creato io! I due si guardarono in silenzio. Le mie parole li avevano colpiti, mi stavo dichiarando come il loro Creatore e quesi due delinquenti da strapazzo non credevano alle mie parole! Erano chiramente a disagio. Dave si mantenne fermo agganciandosi con le mani al tavolo mentre Bud aveva messo a dura prova la resistenza dello schienale della sedia e la sua carne era fuoriuscita tra le listelle di legno.
"Ma visto che ci siamo, parlatemi di voi...ditemi chi siete esattamente, cosa fate per vivere...così per fare due chiacchiere..."
I miei due ospiti si guardarono ancora e Dave fece un segno di assenso con la testa a Bud che attese alcuni secondi prima di parlare. Raccolse le idee, rialzò la testa e cominciò un lento rosario con la sua voce profonda mentre si strappava della pelle morta dall'orlo delle unghia cortissime.
"Mi chiamo Bud Hessinger e sono nato per fare del male come diceva la mia povera mamma,  perché ho le mani enormi ed il cervello piccolo, troppo piccolo per fare qualcosa di buono come diceva la mamma, eppure tutti mi chiamano Bud il poeta perché un pomeriggio, qualche anno fa, ero completamente fatto di acido, ho scritto una poesia su un muro della 49ma di fronte a due poliziotti che hanno riso per una settimana per il fatto che ballavo mentre scrivevo con lo spray e sbagliavo le parole, ma quella volta sono stato felice perché ho sentito qualcosa dentro che voleva uscire e non mi importava delle risate dei poliziotti mentre mi sbattevano sul cofano dell'auto per ammanettarmi senza riuscirci perchè le manette erano piccole per me e hanno usato delle strisce di plastica poi o di quello che avrebbe detto mia madre, volevo solo scrivere queste parole:

Ci sono sacchi di dolore caricati su spalle piegate
Ci sono rubinetti di fiele aperti notte e giorno
Ci sono cose che non sò spiegare, ma che uccidono me e te

Non ho più provato una sensazione come quella, non sono più riuscito a trovare un acido così buono, ma da allora tutti mi chiamano Bud il poeta.  Quella scritta é rimasta su quel muro per mesi e io andavo a guardarla quando nessuno era in giro, per capire quello che avevo scritto. Qualche coglione ha detto che l'avevo copiata, ma non era vero ed avevo scritto fiele perché avevo sentito che era qualcosa di molto amaro e disgustoso. Poi quella scritta l'hanno cancellata, ma io me la ricordo ancora ed uno di questi giorni giuro che gliela riscrivo." Finì di bere e sorrise a tutti e due e mi sembrò di vedere un'ombra di rossore sul suo viso, ma sarà stato il vino. Era finalmente rilassato, quasi contento e bevve un altro sorso .
Pensai alle lezioni all'Università sulla capacità di alcune droghe di espandere la coscienza, di farti viaggiare in altre dimensioni della realtà che altro non sono che parti della nostra mente abbandonate come i vecchi magazzini del porto. Vidi per un attimo Bud vestito come uno sciamano indiano intorno ad un fuoco lontano.  Ma Bud Hessinger non era un  nobile atzeco, non era un vecchio sciamano, non era nulla.
"E tu biondo, chi sei?"
Dave Smear era stato a giocherellare con una penna poggiata sul tavolo, apparentemente disinteressato al racconto di Bud. Cominciò a parlare senza distogliere lo sguardo dalla penna che faceva roteare lentamente.
"Mi chiamo Dave, Dave Jr, mio padre si chiamava Dave, Dave Senior, si chiamava perchè un giorno l'ho ucciso, l'ho buttato di sotto dalla scala antincendio. L'ho portato io li, era ubriaco come sempre, ma stavolta troppo per capire. L'ho portato lì e l'ho appoggiato alla ringhiera. Poi l'ho guardato in faccia, e l'ho spinto di sotto e l'ho visto cadere, l'ho guardato mentre cadeva con la sua faccia stupida e i baffi lunghi da messicano e le mani che tentavano di aggrapparsi all'aria. Non ha gridato, troppo ubriaco. C'ha messo una vita a cadere. poi ho sentito un colpo secco come un bastone che si spezzava sulla schiena. Stavolta è stata la sua schiena a spezzarsi. E' morto con gli occhi aperti."
Dave face una pausa e sollevo il capo a guardarmi negli occhi, quasi a controllare l'effetto delle sue parole.
Mi chiedevo cosa dire, se credere o meno a quella voce leggera che aveva confessato l'omicidio di suo padre. Ma più di tutto mi meravigliava il fatto che stessi pensando tutto ciò. in fondo ero convinto di sognare e allora che imporatnza poteva avere cosa chiedere o come chiedere. All'improvviso sentì la mia voce porre la seguente domanda : "Cosa si prova ad uccidere?"
"Campione mondiale di psicologia applicata" pensai.
"Mah! Non lo so, quella volta provai un senso di liberazione, come se avessi schiacciato un insetto fastidioso, poi sentì un vuoto. Quando uccisi un portoricano qualche giorno dopo con la pistola che avevo comprato da Jimmy Jamaica, ho avuto paura, paura da vomitare,  paura di essere preso, ma poi  ho visto che nessuno mi ha seguito e che le pallottole non hanno la tua firma ed il tuo indirizzo sopra e allora sono stato solo attento solo attento a non farmi beccare dal piombo degli altri perché brucia, brucia molto e cosi ho trovato il modo di fare soldi con il mio amico Bud".
Dave aveva parlato senza distogliere i suoi occhi dai miei.
Non provavo paura, ma improvvisamente sentii sulle spalle una terribile tristezza, un senso di inutile desolazione, come se tutta la mia energia fosse stata risucchiata in un vortice di giorni inutili come cocci di bottiglia sparsi per strada, inutili e pericolosi, buoni solo per la spazzatura. Appoggiai le braccia al tavolo e vi nascosi la testa. mi addormentai, o meglio pensai di addormentarmi. Riaprii gli occhi svegliato dallo sferragliare di un tram. Il mio orologio mi informò che erano le cinque e ventisette minuti. Mi guardai intorno, ma nella penombra non vidi nessuno. Con uno sforzo sovraumano riuscii ad alzarmi dal tavolo per lasciarmi cadere immediatamente sul divano lì accanto. Ero a pezzi, dentro e fuori. Mi riaddormentai con le lacrime agli occhi senza un motivo preciso e mi risvegliai dopo tre ore. Era tempo di tornare a caccia di lavoro.
La giornata scivolò via senza nessun risultato, tornai a casa presto, nel primo pomeriggio, e ricominciai a scrivere il mio racconto senza pranzare. Il frigo era vuoto e gli avanzi erano finiti. Dopo le prime righe li sentii. Alzai lo sguardo e Dave e Bud erano lì davanti, come la notte precedente. Quando li vidi mi guardai rapidamente intorno per cercare qualche indizio del mio stato onirico, ma non ne trovai. Non stavo sognando. Bud e Dave erano in piena luce di fronte a me. Li salutai e riprendemmo a chiacchierare. Passarono ore in cui i due mi raccontarono di tutto, come fantasmi invitati  da una medium a raccontare le loro pene. Ogni tanto prendevo discretamente appunti. Continuammo sino a che non mi addormentai ancora.

Wednesday, August 1, 2012

Io sono tarantino

Io sono tarantino. Non lo dico alla Kennedy, per empatia o per opportunità politica.  Io sono proprio nato lì, vissuto lì per 19 anni, ci torno a Natale e qualche giorno in estate perchè il mare è splendido e mia madre, mia sorella e mio fratello vivono, lavorano e crescono i propri figli laggiù. Mio padre lavorava nell'Arsenale della Marina Militare; tutti i miei zii, molti miei cugini, molti amici d'infanzia di mio padre, molti loro figli, lavoravano o lavorano all'ILVA, che per molti di noi è ancora l'Italsider. Io sono nato e cresciuto nel rione Solito-Corvisea, zona est della città, diametralmente opposto rispetto al quartiere Tamburi, quello povero e degli operai, quello che si affaccia sul porto, stretto alle spalle dalle colline artificiali, pieno un tempo di fabbrichette artigianali intorno alla stazione ferroviaria. Mia moglie è nata lì. Ci è vissuta sino ai 5 anni, poi anche lei si è spostata a est, lontano dalla fabbrica, quella che ha fatto diventare ricchi molti piccoli imprenditori, qualche mafiosetto, quella che ha reso moderna la mia città. Basta fare gli emigranti o andare in marina (che in fondo è la stessa cosa...) vieni a lavorare all'Italsider!!! Negli anni settanta e per buona parte degli anni ottanta lavorare all'Italsider era una vera fortuna, potevi facilmente comprare casa, guadagnavi molto più degli altri lavoratori, avevi un quartiere moderno a disposizione per crescere i tuoi figli nel verde (PAOLO IV, in onore del Papa in visita), il futuro era radioso, finalmente, vacca ladra della fortuna, finalmente ti sei fermata in riva allo Ionio! Tutti erano orgogliosi della lava creata negli altiforni e dell'acciaio migliore del mondo! Per trent'anni nella mia città ci sono state solo acciaio e  chiacchiere. Molte chiacchiere, come adesso.
Poi sono cominciati i guai, la vendita o meglio la svendita dell'Italsider, è finita la pacchia e le rughe della sposa d'acciaio sono diventate sempre più evidenti, nello stillicidio di incidenti e morti (che ci sono sempre stati, ma nessuno se ne accorgeva), licenziamenti, mobbing, cassa integrazione etc etc. Intorno però non cresceva nient'altro solo chiacchiere ipnotiche e soporifere. Chiacchiere e occhi chiusi. Anche io ho sempre visto la polvere rossa sulle strade, anche io sapevo della diossina e dei metalli pesanti, ma ho chiuso gli occhi. Vivevo ormai da un'altra parte. Pensavo" Effetti collaterali, non ci si può fare nulla. E se la fabbrica chiude questi dove vanno a lavorare? Come vivono?"
 E tutti ora si battono il petto, anche quelli che non hanno mosso un dito e hanno fatto solo chiacchiere (volevo scrivere "anche quelli che non hanno fatto un cazzo e sono stati a guardare", poi ci ho ripensato).
Adesso chi paga? I Riva e lo Stato. Bisogna cercare di mettere a posto quello che si può, ma noi tarantini dove eravamo? Sotto ricatto forse, o muori prima o poi o lavori adesso, ma non è solo questo. Voglio essere onesto sino in fondo.
I tarantini e Taranto hanno molti difetti, troppi, e io sono tarantino. I tarantini sono stati degli stupidi caproni.  Loro e i loro sindacati. Bisognava capire che era ora di fare altro e meglio, bisognava staccarsi pian piano da quella mammella avvelenata. Lo sapevano tutti, ma si è preferito chiudere gli occhi e respirare a pieni polmoni. Non c'era alternativa e quelli che hanno governato la mia città se ne sono bellamente fottuti di costruire un futuro diverso o di cambiare qualcosa, di difendere la mia gente, anzi alleati con i mafiosi locali hanno conservato lo status quo, consegnando i nostri figli nelle mani di chi , come imprenditore, conta i soldi non le anime. Il ministro dell'Ambiente mi sembra persona seria, ma Taranto e il sud in genere hanno bisogno d'altro. Ha bisogna dei meridionali. Guardando uno dei vari servizi da Taranto nei giorni scorsi ho pianto. Tranquilli, non mi ha visto nessuno. Erano lacrime fredde, già viste, lacrime abituali di chi vede la propria terra e i suoi fratelli attraversare l'ennessima sofferenza. Io sto con gli operai, io sto con i magistrati, io sto con gli ambientalisti, io sto con i tarantini. Ma quando smetteremo di far scrivere la nostra vita dagli altri e ringraziare per ogni biscotto per cani che ci lanciano? La fabbrica deve restare aperta ed essere resa meno inquinante, ma bisogna pensare ed agire per un futuro prossimo. Ci sono altre fabbriche li intorno, c'è una raffineria. C'è tutto un futuro da inventare.
Mia madre vive a Talsano ora, ancora più ad est. Quando le telefono capita che mi dica "ho pulito i balconi, sai...è arrivato il fumo dell'Italsider sino qui..."
Buona fortuna Taranto.