Rat race

Running

Wednesday, October 17, 2012

L'uomo calvo (ed altri casi umani)

Prima di rientrare a casa mi fermai ad una cabina telefonica senza porta e chiamai mia madre con un residuo di carta telefonica. Allora il cellulare era un lusso per pochi e a me non piaceva nemmeno. Come l'uva alla volpe.  Mi rispose dopo cinque squilli, con la sua voce stanca e lontana, la stessa che dovevava avermi cantato ninnananne che non ricordavo, la stessa voce che doveva aver detto "ti amo" a mio padre almeno una volta.
"Ciao Ma', sono io!"
"Ciao amore...come è andata?".
La sua voce si era riempita di vita, le dovevo mancare, le mancavano due braccia e due occhi in più, le mancava un pezzo della sua carne, forse. Sentivo la sua solitudine  e mi straziava.
"Bene Ma', devo tornare per un altro colloquio tra tre giorni...è una selezione lunga..."
Mentivo e prendevo tempo, mentivo per paura. Avevo paura di deluderla ancora, anche se in quel momento sentivo crescere dentro di me rabbia e determinazione. Decisi che avrei difeso quel posto piovuto dal cielo con tutte le forze, decisi che l'avrei fatto per loro, per quelle anime lontane e sofferenti. Questa idea mi tolse il fiato, sentii le gambe cedere, forse ero umano dopo tutto, non completamente assuefatto al mondo. Reagivo, ero forse  ancora vivo.
"Ah, va bene amore... non ti preoccupare...sento che questa è la volta buona per te...abbi fiducia e non ti abbattere!"
Il solito ammonimento a non mollare. Se io non avessi mollato anche loro avrebbero resistito. Ero in qualche modo responsabile. Una parte di me avrebbe voluto urlarle che ero stato assunto, ma la prudenza, matrigna puttana di ogni fallito, mi tappò la bocca con le sue belle mani curate e pulite. Era troppo rischioso darle una tale notizia in quella situazione. Tanto, magari, domani sarebbe terminato tutto, mi sarei ritrovato di nuovo in strada a cercare lavoro.
"Tranquilla Ma', non mollo...Pa' come sta?"
"Dorme...non ti preoccupare, glielo dico che hai chiamato."
"Va bene Mà, ciao"
"Ciao, Amore".
Riattaccai la cornetta e mi poggiai al vetro sporco della cabina. Nella parete di fronte un piccolo manifesto di una agenzia di viaggi  prometteva prezzi fanatastici per una vacanza invernale in Egitto. Pensai alle piramidi. Mi sarebbe piaciuto visitarle. Mi sarebbe piaciuto fare molte cose.
Passò davanti alla cabina una ragazza bruna, avrà avuto ventitre, forse venticinque anni, giovane comunque, giovane  e bella con lunghi capelli rossi che ballavano sul collo del suo cappottino chiaro che arrivava sino agli stivali neri. Qualcuno ululò dentro di me, la vita mi chiamava. Usciì dalla cabina e la vidi entrare in un portone poco distante e sparire tra le ombre dell'androne. Mi fermai e contai sino a trenta. Magari sarebbe tornata indietro. Non lo fece. Guardai il numero civico: 97. Come i miei giorni di astinenza dalla scrittura. A quei tempi scrivevo ogni giorno. Decisi di scrivere qualcosa su quella ombra di felicità che mi era passata davanti e che forse un giorno avrei rivisto uscire da quel portone e venirmi incontro preceduta dal suo sorriso. Decisi che mi sentivo troppo solo. Decisi di smettre di pensare e di tornare a casa. Mi sentivo come sballottato sulle montagne russe di sentimenti contastanti, felice e rassegnato allo stesso tempo. Arrivai a casa e infilai le chiavi nella toppa della porta. Entrai e trovai Bud e Dave seduti al tavolo a giocare a carte. Non era mai capitato prima che li vedessi cosi rilassati ed affacendati, di solito mi apparivano all'improvviso mentre scrivevo. Ne fui un pò spaventato e allo stesso tempo fui felice che qualcuno fosse a casa ad aspettarmi.
"Ciao ragazzi...non crederete a cosa stò per raccontarvi..."
Si voltarono leggermente verso di me, poi si guardarono e sorrisero.
"Che c'è?" chiesi perplesso.
Dave mi rispose aggiunstandosi le carte in mano. "Niente... ma scommetto che ti hanno assunto...vero?"
Lo guardai. Stavo per chiedergli come diavolo facesse a saperlo, ma mi accorsi di Bud. Rideva, rideva e cercava di trattenersi mettendosi una mano davanti alla bocca. Era rosso in viso, quasi non respirava a causa di quella risata soffocata.
Non si trattenne più e la sua risata contaggiò anche Dave. ridevano piegati in due , le carte cadderò per terra. "Che faccia di cazzo, Bartel...Dio che faccia di cazzo hai!!!" riusci a dirmi Bud.
Ridevano e piangevano allo stesso tempo. Allora capiì. Erano stati loro. Si calmarono e mi raccontarono. Mi avevano seguito e fatto una visita al Direttore Generale spiegandogli che era suo interesse assumere uno come me, ed assumermi al volo. Dovevo ammettere che erano stati convincenti. Mi sedetti per terra e ci guardammo a lungo. Loro mi sorridevano benigi. Non so come all'improvviso glielo dissi.
"Grazie."



Monday, October 8, 2012

SE SO' MACO,SO' MACOOOO !!!!

Ebbene si, come diceva il Mago di Segrate "Se so' maco, so' macooo!!!".
Il post che vedete l'avevo scritto alla fine delle scorse elezioni amministrative qui in Piemonte. Più di Poi non l'avevo pubblicato, dovevo aggiungerci qualcosa...poi come al solito arrivano altre situazioni, altre idee ed il post resta lì come un draft abbandonato e polveroso. Ed invece era un post profetico... leggete e poi mi dite...so' maco e me ne vanto!!!

Si, inutile nasconderlo, tanto viene tutto a galla. Sentimenti compresi. Inutile fare finta di niente, ignorare sia l'irritazione che l'ottimismo. Irritazione per le bambinate indegne, ottimismo perchè a volte questi posti ti sorprendono. E' un mese che non posto, troppo da fare, troppo da rincorrere, troppo da parare e se vivi a bassa frequenza trasmetti poco, e ciò che è più grave ricevi poco dall'universo mondo, poco di tutto. Poi ieri pomeriggio qualche parte di Italia ha presentato sorprese ampiamente annunciate e ti sorprendi a pensare: "Però, eh...te pensa...". Poi a casa tua succede di tutto, succede che una parte politica (no, una parte sociale) data per sconfitta al primo turno (ricorderò per sempre il sindaco in pectore quindici giorni fa dire, con la sua faccia da Mr.Bean- non insulto, è proprio uguale!-, "sono sereno, ci sono 15 punti di distacco...") vince e vince bene. Eppure la città in cui vivo, rispetto ad altre è ben governata anche se ultimamente nell'aria si comincia a sentire l'insofferenza per certi atteggiamenti grossolani, per certa arroganza, un pò di riflesso nazionale, un pò troppi cretini in giro che offrono penne e caramelle e colazioni e aperitivi e cominci a sentirti un pò popolo bue, un pò cavallo comandato dai porci (Orwell) e pensi "e se gli dessi una scossettina, leggera, cosi per vedere?". Invece è un elettroshock! Ops, sorry, I didn't mean it...avete imparato? Nulla dura per sempre, né la vigliaccheria né l'arroganza, né il menefreghismo, né certe facce laide da ladri o profittatori (se ne accorge il tuo istinto, quando ti parlano porti la mano a controllare il portafogli nella tasca della giacca). La prossima volta presentate gente più presentabile, meno abbronzata (non perchè lavori nei campi) e che sappia dire due parole in croce senza copione e che magari abbia una idea propria originale (che non sia quella di sistemarsi con tutta la famiglia). La prossima volta presentate delle persone per bene, che si facciano conoscere prima delle elezioni (cioè ti dicano "Buongiorno" se ti incrociano) e che non lascino una scia di bava e cerone (e parlo di uomini e donne che ti sorridono da foto photoshoppate).
 La prossima volta che andrò a votare voglio votare per uomini e donne che pensano di far qualcosa per tutti, e me ne frego del colore, in politica sono daltonico. Si sono un coglione ottimista, te pensa, e allora?
Pace e bene e buon lavoro italiani.

Duduk

Si va bè, la solita storia. Quando meno te lo aspetti scopri qualcosa di nuovo e scopri che poi nuovo non è. E' sempre stato lì, sotto i tuoi pocchi pigri che guardano e non vedono,. In questo caso sotto le tue orecchie che sebntono e non ascoltano. Svelo l'arcano (da Arca...il resto se volete ve lo cercate). Venerdi sera a cena a casa di amici, uno di loro, un ingegnere,  appena tornato dall'Armenia. "E che ci sei andato a fare?"
"Paese molto bello... una storia incredibile, ci sono arrivato con colleghi della zona che mi hanno portato in giro per un paio di giorni...bla, bla, bla, bla bla bla... bello...mangiato roba...bla bla bla e poi senti che musica!".
Si alza, prende dalla giacca un CD con sulla copertina sette-otto uomini in giacca e camicia bianca, alcuni seduti altri in piedi sullo sfondo una parete piena di libri. Non riseco a leggere le scritte. Poi dallo stereo parte una musica dolce, triste e profonda. Sembra un oboe. Scivolo un attimo dentro di me.  La voce del mio amico  mi è quasi di fastidio.
"Pensa che questa specie di flautoè presente nella loro cultura almeno dal 1200 avanti Cristo."
Non so perchè mi torna in mente Roma, settecento avanti Cristo.
Lo strumento si chiama duduk, ma il mio amico mi spiega che è una forma semplificata del nome originale che dovrebbe essere Tsiranapogh. Poi lui continua sulla strage degli armeni, la loro diaspora.  Ho già sentito quella musica, in qualche colonna sonora, da qualche parte, ma ora qualcosa dentro di me risuona, reagisce a quelle note cosi antiche. Note spirituali. Mi rendo conto della pochezza del mio linguaggio nel descrivere qualcosa di nuovo e allo stesso tempo di ancestrale. Vorrei che tutti tacessero. Mi sa che sto diventando un vecchio rompiballe. Ascolto. Mi appare la faccia triste di Charlez Aznavour. Venerdi notte dormo male. Sabato ascolto mia figlia suonare una Danza di Mozart. Mi accorgo che ho fame, o forse sete. Ho sete di spirito, di eterno, di bello, di assoluto. Una sete terribile.

Wednesday, October 3, 2012

L'uomo calvo (bulli e belli)

Qualcuno mi scosse per le spalle e mi svegliò. Istintivamente guardai l'orologio. Era passata mezz'ora e io non ero sicuro di dove fossi. Me lo ricordò il ragazzo che mi aveva indicato la scrivania vuota."Il capo ti deve parlare...fuori ... in corridoio..."
Mi stropicciai gli occhi."Chi?"
Il ragazzo mi ringhio contro: "Oh! Sveglia!!! Il capo, il Dottor Lavagni, ti vuole parlare qui fuori..."
Mi alzai di scatto e lo guardai dritto in faccia. Il ragazzo indietreggiò. Lo chiamo ragazzo, ma doveva essere di un paio di anni più vecchio di me, magari un paio di anni passati al guinzaglio a mangiare da una ciotola. Il cocco del capo comunque aveva capito che non ero li per farmi maltrattare. Linguaggio corporale, linguaggio universale. Cominciavo a sentirmi stanco e confuso: io non avevo chiesto niente a nessuno. Mi avevano assunto per un miracolo e adesso questi cani bavosi mi ringhiavano contro. E il capo in sedia a rotelle mi aspettava fuori!  Usci dalla stanza sentendomi gli sguardi di tutti conficcati nella schiena. In fondo al corridoio mi aspettava il capo, il dottor Lavagni. Vidi la parte posteriore della sedia a rotelle e i suoi capelli ingrigiti. Guardava fuori da una vetrata il traffico di mezza mattina, lento e indifferente. Avvertì la mia presenza e grazie ad un rapido e coordinato movimento delle mani la sua sedia a rotelle roteò e si blocco con un leggero fremito del metallo proprio davanti ai miei piedi. Il volto era congestionato, gli occhi mi sembravno completamente gialli, due macchie di sudore si allargavano sulla sua camicia.
"Ascoltami bene ragazzo" cominciò trattenendo a fatica il tono della voce.
"Io non so chi sei e non mi interessa, ma so che ti devi licenziare, anzi non devi firmare la lettera di assunzione ...hai capito? lo dico per il tuo bene, capisci?"
"Veramente il Direttore mi ha..."
"Non me ne frega un cazzo di quello che ha detto il direttore!"" mi sibilò contro.
"Tu qui sei carne morta hai capito? Sono io che comando e non ti voglio hai capito, coglione? Non ti voglio e ti creerò una vita di inferno qui! E' meglio che sparisci!"
Lo guardai in faccia.  Sono cresciuto in un quartiere periferico della mia città, palazzoni bianco-grigi tutti uguali, brutti e tristi, abitati da gente brutta e triste. Io non ero nè brutto, nè triste grazie ai miei genitori. Per questo avevo dovuto combattere molte battaglie. Ero stato preso di mira dai bulli della zona e avevo attraversato tunnel difficili da descrivere. Sapevo che il sudore della paura è freddo e puzza, conoscevo le corse in pullman sperando che nessuno salisse a certe fermate, ricordavo le preghiere inutili per chiedere aiuto a un Dio indaffarato, rivedevo le scene di umiliazione, ricordavo lo sconforto che piega le spalle prima e le gambe dopo, ricordavo la paura della morte. Ma ricordavo anche la cavalcata della rabbia, il furore cieco, il gusto del sangue, la scoperta di essere capace di infliggere dolore, il piacere di vendicarsi, la freddezza nel farlo ancora ed ancora ed ancora. Avevo attarversato luoghi di cui quel tizio in carrozzella non conosceva nemmeno l'esistenza. Ed ero sopravvissuto.
Mi sentiì pronunciare due sillabe pesanti "No!".
Per un attimo pensai che il dottor Lavagni si sarebbe accasciato per un infarto. Vedevo le vene del suo collo in rilievo,come i muscoli sulla sua mandibola. Era paonazzo, furioso. Non disse nulla, ma per poco non mi investì con la sua carrozzella che volò via verso la porta dello stanzone che aprì con agilità e chiuse con furore. Io rimasi nel corridoio mentre l'eco della porta sbattuta mi oltrepassava ed andava a morire verso altre stanze e stanzette di quel formicaio. Avevo vinto una battaglia. Sulla vittoria della guerra non ci avrei scommesso una lira. Era inutile restare lì per quel giorno. Apriì la porta dello stanzone nell'indifferenza generale. Nessuno si voltò, nessuno fece cennò di aver avvertito la mia presenza. Raccolsi la mia borsa e salutai educatamente. Nessuno rispose. Usciì  e sorrisi al corridoio. Cercai l'ufficetto della segretaria e dopo dieci minuti di girovagare lo trovai. Dissi che per quel giorno non avevano bisogno di me e ritirai mezzo chilo di moduli da riempire e firmare. Avrei voluto salutare e ringraziare il direttore, ma la segretaria con un sorriso finto e una espressione che non capiì mi disse che il signor Direttore era fuori per questioni urgenti. Annuii educatamente ed andai via.
Per strada l'aria fresca mi colpì prima il viso poi i polmoni. Guardavo la strada. i rari passanti, le auto e i furgoni come se li vedessi per la prima volta, come se fossi sbarcato dopo un viaggio di qualche anno luce dalla costellazione di Orione. Forse era così. Camminai e mi accorsi chela mia borsa semi vuota mi dondoolava eccessivamente, come la caretlla di uno scolaro elementare. Mi efrmai a guardare una vetrina di un negozio di abbigliamento maschile. Vestiti scuri, vestiti grigi, vestiti da persone serie e cravatte, centinaia di cravatte. Il loro prezzo era eccessivo per me e per molti di quelli che conoscevo. Decisi di entrare e comprarmene una. Ero ottimista e drogato. Da allora, ogni volta che mi accade qualcosa di positivo compro una cracvatta nuova. L'ho fatto anche il giorno dopo aver conosciuto Julia a Parigi, l'ho fatto tante volete da quel giorno. La cravatta  era scura con dei piccoli gigli stilizzati grigi. L'ho ancora in armadio. Camminai per un'ora buona e arrivai vicino casa. Poi vidi il mio palazzo in fondo alla via e un forte brontolio del mio stomaco mi ricordò che ero umano ed avevo fame. Forse da quel giorno avrei potuto mangiare di più. Avrei offerto qualcosa di meglio anche a Bud e Dave, altre storie come quella dell'uomo incazzato in carrozzella. Risi. Una signora con due borse di plastica piene di spesa mi guardò un pò allarmata. Le sorrisi con tutti i denti a disposizione. Lei accellerò, non senza fatica, il passo. Era quella la felicità? Una cravatta nuova, degli amici immaginari, uno stomaco affamato e un nuovo lavoro, anzi un lavoro in una vasca di piranha?