Rat race

Running

Wednesday, June 12, 2013

Nuvole rapide



25 Aprile
Avendo dribblato, con somma audacia, sfilate e discorsi, mi sono meritato un giro in bici in solitudine. Breve solitudine. Due occhi blu mi aspettano tra quarantacinque minuti. Non un minuto di più, magari dieci di meno. Blu inflessibile. Il quotidiano che ho acquistato pochi minuti fa è piegato e strizzato da una molla sul portapacchi, dietro la mia sella nera e comoda. La strada deserta in terra battuta è quasi bianca attraversata velocemente da ombre scure ed irregolari. Nuvole veloci mi sorpassano mentre schermano il sole appena tiepido. Potrei pedalare per giorni correndo dietro le nuvole. Dove andrei a finire?
Seguo le nuvole rapide che scivolano verso sud, tra le risaie. Le riempiono  un pò alla volta, a turno o ed estrazione o con prepotenza, non so, non mi interessa questo surrogato di mare. Mi rilassa osservarle, ordinate, squadrate, immutabili, a volte anche colorate come quadri di un Mondrian naturalista. Questo si, lo concedo, ma sono senza respiro, come corpi morti, perfettamente conservati, ma morti. Lo so che non è così, la risaia vive, sotto il pelo dell'acqua  e tra le rogge, tra i filari d'alberi e i boschetti che a volte riparano case dai muri screpolati. Vive di una sua vita propria che in questa primavera piovosa si sveglia lentamente. Me ne accorgo anche ora che la vita palpita tra questi quadrati e rettangoli d'acqua. Ombre più piccole e veloci di quelle delle nuvole già rapide incrociano la mia pedalata e mi costringono ad alzare la testa. Uccelli, piccoli e grandi, silenziosi, alcuni aironi grigi  dal battito d'ali pigro che insegnano la pazienza a chi li osserva. E io, invece, non ho pazienza. Pedalo con la mia amata bici, pedalo per respirare aria aperta che aggira gli alberi, sfiora l'acqua e spinge le nuvole rapide. Pedalo e lungo la strada bianca non c'è nulla almeno per un altro chilometro: nessuna auto, nessuna bici, nessun bipede. Sono solo al mondo. Che fortuna! Poi lo vedo, una macchia scura sul bordo destro della strada. Due secondi fa non c'era, ora è li questa macchia che comincia ad avere un contorno via via più definito.  Ora distinguo una coda, testa tonda e orecchie aguzze, un gatto, un grosso gatto, un gatto grasso direi, e scuro. No, non completamente scuro. Sul petto dell'animale ora distinguo una grossa chiazza bianca e al centro della macchia dondola qualcosa, un pendaglio, forse, forse una campanella. Oramai sono a pochi metri, adesso scapperà. Invece no, si sposta leggermente più al centro della strada, come se mi volesse sbarrare il passo e si mette a leccarsi la zampa destra come se non esistessimo, io  e la mia bici. Io non amo particolarmente i gatti, trovo la loro bellezza noiosa e il loro disinteresse per gli altri esseri viventi fastidioso. Ma questo gatto ha due occhi gialli che mi guardano mentre rallento e mi fermo davanti  a lui poggiando la mia gamba destra per terra. Lo guardo anche io incrociando le braccia: " Che c'è gatto? Voglia di litigare?".
 Lui smette di leccarsi e mi si avvicina. La sua zampa destra deve essere ferita,  la appoggia appena, direi che  zoppica. E' un gratto grasso e zoppicante. Si struscia alla mia gamba su cui sento la sua lunga coda, poi si ferma sul retro della mia bici guardando il portapacchi e il mio giornale. Poi fissa i suoi occhi gialli nei miei. O vuole ipnotizzarmi o vuole mandarmi un messaggio telepatico. Non c'è bisogno, l'ho capito che questo gatto di campagna è abituato a parlare con gli uomini. Vuole un passaggio. Semplice. Lo sollevo a fatica e lo sistemo accovacciato sul portapacchi dopo aver tolto il quotidiano. "Ehi grassone…" gli faccio perché mi sembra un maschio "sei pesante quindi vedi di startene buono”. 
E cosi ricomincio a pedalare sotto nuvole rapide tra stagni quadrati. Incredibile! Mentre pedalo mi volto un attimo e vedo gli occhi gialli del gatto socchiusi nel venticello provocato dalla velocità della mia pedalata. " Te la godi vecchio grassone? Tra un po’ torno indietro, ti avviso !".  Non solo porto sul mio portapacchi un grasso gatto scuro e sconosciuto, ma ci parlo anche. Devo sentirmi molto solo. O magari è naturale parlare con altre creature viventi nel bel mezzo del niente.
Poi lo vediamo. Io e il gatto intendo. E' al centro del prossimo campo allagato. Rallento e mi fermo. Uno splendido airone bianco affonda il suo becco nell'acqua per un secondo,  poi si mostra in tutta la sua bellezza a pochi metri da noi, da me e il gatto grasso che viaggia sul portapacchi. Non respiro, come se potessi diventare invisibile e ammirare quella nuvola bianca di piume bloccata a terra. Guardo l'animale e il suo riflesso tremolante nell'acqua. Una piccola folata di vento arruffa le piume sulla sua testa, ma lui non si scompone. I suoi occhi rotondi sembrano vedere tutto ed essere indifferenti a tutto, anche  a me e al gatto. Siamo vicini tutti e tre, ma nessuno si muove, come per un tacito patto di non belligeranza, una tregua, proprio oggi che la guerra è finita. Un'altra piccola folata di vento sembra svegliare l'airone dai suoi pensieri. Muove il lungo collo, sembra inspirare e poi apre di scatto le sue grandi ali e spicca il volo. La sua ombra ci oscura un attimo, sento lo spostamento d'aria sul mio viso, come un saluto. Il gatto sul portapacchi ha allungato il collo e segue  il volo dell'airone che sparisce dietro una linea di alberi dopo aver sorvolato un altro paio di campi. Restiamo fermi per qualche secondo, io e il gatto. Poi ricomincio a pedalare senza pensare. Il gatto si riacciambella sul portapacchi. Pedalo mentre altre nuvole rapidamente attraversano la mia strada, mi sorpassano, mi deridono quasi. Devo tornare indietro. Arrivo ad un bivio: a destra case sparse, a sinistra case meno sparse.
"Gatto, io torno indietro, scendi!"

Il gatto mi capisce e rapidamente me lo ritrovo accanto alla ruota anteriore. Mi guarda, lo interpreto come un ringraziamento, poi si volta e trotterella via ancheggiando come una vecchia signora sovrappeso. Non sembra che la zampa gli faccia più male. Un pensiero mi sfiora: forse aveva voglia anche lui di farsi un giro in bici. Gatto maledetto. Ritorno indietro, stavolta correndo incontro alle nuvole rapide della mia giornata. 

Monday, June 10, 2013

Ciao, sono un pò ammaccato e latitante e mi capita troppo spesso negli ultimi anni, ma sono ancora vivo, almeno nel senso di scrivente. Sul resto non garantisco. Rubo un attimo le prole di Battiato, descrivono meglio di me e più velocenmente cosa mi accade. Colpa della primavera piovosa forse, o di scelte sbagliate. Non so. Mi sembra già un successo scrivere poche righe di corsa. Mi attendono. C'è sempre qualcuno che attende e io sono quasi sempre in ritardo.
See you soon.
B


Un'altra vita

Certe notti per dormire mi metto a leggere,
e invece avrei bisogno di attimi di silenzio.
Certe volte anche con te, e sai che ti voglio bene,
mi arrabbio inutilmente senza una vera ragione.
Sulle strade al mattino il troppo traffico mi sfianca;
mi innervosiscono i semafori e gli stop, e la sera ritorno con malesseri speciali.
Non servono tranquillanti o terapie
ci vuole un'altra vita.
Su divani, abbandonati a telecomandi in mano
storie di sottofondo Dallas e i Ricchi Piangono.
Sulle strade la terza linea del metrò che avanza,
e macchine parcheggiate in tripla fila,
e la sera ritorno con la noia e la stanchezza.
Non servono più eccitanti o ideologie
ci vuole un'altra vita

Friday, January 18, 2013

Prinz caffellatte

9 Gennaio.
A me piace il caffellatte. La mattina presto me lo sorseggio mentre guardo dalla finestra della cucina il cortile dove dorme la mia bici. Guardo il cielo, apro la finestra e annuso l'aria. Queste sono le mie previsioni del tempo. Vengo dal mare, mi fido dei miei occhi, della mia pelle e del mio nasone. E quasi sempre ci azzecco. Tranne quella volta in estate, quando non mi accorsi di un temporale in arrivo e innaffiai abbondantemente le piante che abitano i miei balconi. Posai l'innaffiatoio e partirono i tuoni. Le mie donne ridono ancora.  Lupo di mare spelato. Capita. Poi il caffellatte mi piace perchè mi ricorda la mia infanzia e la vecchia auto di mio padre, una Prinz NSU 4 color caffellatte pallido, a quei tempi una astronave per me. Mi ricordo anche la Prinz verde petrolio (ma il petrolio è verde?) che portava sfiga al liceo. Accanto al mio liceo c'era un convento di suore, non ricordo (se mai l'ho saputo) di che ordine, congregazione o squadra, ma ricordo che avevano questi lunghi veli scuri e il viso incorniciato di bianco. Anche le suore non portavano bene. La Prinz verde era loro e noi la vedevamo passare davanti al portone del liceo imbottita di veli scuri e anime candide. Pessimo presagio nei giorni di compito in classe di matematica o latino. Mi sono sempre chiesto se ce ne fossero ancora in giro. Di Prinz intendo, non di suore. Sono anni che non ne vedo una. Sino a ieri mattina alle sette. Ero fermo ad un semaforo in sella alla mia bici nera. Con una mano mi sono appoggiato all'asta del semaforo e mi guardavo intorno: accanto a me due vecchiette sottobraccio. Guardo meglio con la coda dell'occhio e mi accorgo che sono madre e figlia, una di ottanta anni, l'altra una ragazzina di sessanta, stesso cappotto color pastello indefinito, stessa altezza, stesso viso, rughe diverse. Dalla parte opposta arriva un geometra che conosco, borsa scura e sciarpa rossa intorno al collo. Gli si affianca una ragazzina di quindici, sedici anni che fuma una sigaretta nell'aria gelida. La sigaretta ritmicamente si avvicina e si allontana da una fessura del suo giubbotto bianco dove intuisco ci sia la bocca. Vedo il disgusto affiorare sulla faccia del geometra. Non so se dipenda dal fumo della sigaretta o dal fatto che la fumi una ragazzina o che la fumi alle sette del mattino. Per non sbagliare a me darebbero fastidio tutte e tre le opzioni. Restiamo lì,sospesi,  in attesa per venti, trenta secondi poi, tra me e il geometra con ragazzina fumante, si insinua lenta e rumorosa una macchia, una macchia color caffellatte. La seguo con gli occhi verso sinistra e guardo la targa vecchia, nera con lettere bianche per la provincia e numeri bianchi un pò sbiaditi: 13, 23, 53 e mi ricordo improvvisamente che, guardando le targhe delle auto, io bambino, avevo imparato numeri e lettere e mi accorgo che quella macchia caffèllatte è una Prinz. E' una Prinz?! Non ci credo. Resto fermo appoggiato al semaforo e non ci credo, anche se la vedo allontanarsi lentamente e rumorosamente. E' una Prinz caffellatte come quella di mio padre.
Scatta il verde per pedoni e ciclisti. Mentre attraverso guardo in lontananza la scia bianca che lascia la Prinz, troppa scia, troppo bianca. "Buongiorno!" . E' il geometra che mi incrocia in mezzo al guado. "Giorno" rispondo in automatico, ma negli occhi ho solo lei, l'auto caffellatte. Deciso, la seguo, è lenta, voglio vedere chi la guida. Decisione irrazionale. Decisione vera. La mia bici mi asseconda atleticamentte e scarta a sinistra come un vero puledro e in cinque secondi mi ritrovo sulla scia della Prinz senza che nessuna auto mi abbia tritato. La Prinz avanza lenta, scommetto con me stesso che la raggiungerò in due minuti scarsi. Allora una voce adulta mi rimprovera dentro."Cretino, non è l'auto di tuo padre, non la guida tuo padre, tuo padre è morto, cretino! Cosa ti aspetti di trovare un suo sosia con la faccia da ebreo errante? O pensi che ti appaia per darti i numeri vinnceti? Cretino masochista!". Rallento la pedalata. Poi il bambino che vive in me se ne frega e riaccellera. Papà mi manca. Non come un padre manca ad un figlio, ma come un figlio manca ad un padre. Ricordo uno degli ultimi saluti, un abbraccio. Il gigante dei miei anni sotto il metro era diventato un uomo piccolo, mentre io crescevo con il torace e le braccia, e a volte la testa, di un gorilla, regalo del DNA della famiglia materna. L'uomo, le cui braccia mi circondavano una volta, era, infine,  nel recinto delle mie, indifeso e fiero. Ora inseguivo una Prinz sperando di vedere un viso come il suo. Sono follie che si possono compiere impunemente solo alle sette del mattino, mentre il mondo è distratto o corre o sta ancora dormendo. La Prinz era a 50 metri davanti a me, ma io vedevo chiaramente solo la scia bianca che lasciava.  Dopo qualche secondo la scia bianca si è spostata a sinistra e si è fermata improvvisamente accanto al marciapiede. Io mi sono accostato a una ventina di metri di distanza, appoggiato al tronco di un ippocastano ad osservare la scena sentendomi, per l'ennesima volta, stupido. Vedo un giubbotto fucsia uscire dall'auto. Nel giubbotto vedo un ragazzino basso di statura, dai capelli nerissimi e lucidi e dalla pelle olivastra. Vedo le sue braccia alzarsi verso il cielo a chiedere aiuto, lo vedo parlare con qualche dio o insultarlo. Si appoggia al tettuccio caffellatte dell'auto con le braccia e il suo viso sparisce tra due nuvole fucsia. Smonto dalla bici e mi avvicino lento. Il motore dell'auto è spento. Il ragazzino si riprende e cerca di aprire il cofano dell'auto. Quello anteriore. Peccato che la Prinz abbia il motore posteriore. Raffreddato ad aria. Quasi indistruttibile. Mio padre ci viaggiava in mezz'Italia. Diceva che i tedeschi avevano riutilizzato i motori delle autoblindo della Seconda Guerra Monondiale per le Prinz. Io lo guardavo con occhi sgranati e pensavo di essere uno dei miei soldatini di plastica in scala HO dentro un carrarmato...
Anche allora esistevano le leggende metropolitane, fatto sta che non ricordo di aver mai visto la mia Prinz in panne. Ora ne vedevo una con un ragazzino disperato accanto. Lo vedo che guarda sconcertato il cofano vuoto. Mi avvicino. "Guarda che il motore è dietro...".
Mi guarda. Non è un ragazzino, è un uomo tra i trenta e i quaranta con dei baffetti radi. Mi sorride imbarazzato e vedo che gli manca un incisivo. E' uno di quelli che si vedono nei ristoranti dietro un mazzo di rose rigide, tutti più o meno simili, stesso sorriso, stesso colore, stessi capelli, forse stesse rose. L'uomo con i baffetti si sposta rapido nella parte posteriore dell'auto, armeggia qualche secondo con il cofano del vano motore che non riesce ad aprire. Io appoggio la mia bici ad un palo e lo aiuto. Apriamo insieme il cofano e una nuvola di vapore bianco ci investe. Il motore è una massa scura e puzzolente di olio. Vedo i cavi della batteria, li vedo entrare nel blocco motore, ma non capisco niente altro, e non sono il solo. L'uomo con i baffetti si è portato le mani alle guance in segno di disperazione. Ha dita tozze e unghia molto lunghe e giallastre.
"Come faccio adesso...come faccio?"
Gli è uscita una voce cantilenante e un pò gutturale, una voce da sconfitto.
Non so perchè glielo chiedo. "Cosa devi fare?"
Gli do del tu proprio io che sono allergico al tu. Mi è rimasta negli occhi la prima impressione di un ragazzino in difficoltà. Mento a me stesso. La verità è che mi sento superiore ed accondiscendente. E non provo neanche a correggermi.
Lui  mi guarda come se mi vedesse per la prima volta. Anche la sclera dei suoi occhi è giallastra.
"La macchina non è mia...vengo da Pavia...devo andare in un ristorante per lavorare ...qui a Novara...in un ristorante...alle sette e mezza...comincio oggi...la macchina è del Signor Alberto...il mio padrone di casa...me l'ha prestata..."
Ha pronunciato il nome del suo padrone di casa con affetto, il resto con disperazione.
"Dov'è il ristorante?"
Mi guarda con un misto di sospetto e speranza, una parte del suo cuore crede nei miracoli.
Mi dice il nome del ristorante. E' appena  fuori Novara, dalla parte opposta della città però. A quest'ora ci si arriva in venti minuti con l'auto. A piedi in un'ora, un'ora e mezza.
Lo guardo e glielo chiedo senza rendermene conto:"Sai andare in bici?"
Il suo sguardo è stupito, ma forse comincia a capire. "Si, si...".
Tiro fuori dalla tasca del cappotto il mio mazzo di chiavi e comincio a sfilare la chiave del catenaccio della mia bici. Gliela allungo e tiro fuori il mio portafogli da cui estraggo, come un prestigiatore, il mio biglietto da visita.
"Qui c'è il numero del mio cellulare. Quella è la mia bici. Quando finisci di lavorare chiamami per riportarmi la bici ".
Non so neanche io perchè lo sto facendo. La bici non è come una moto o un'auto, non è un prolungamento del mio pene, un affermazione del mio io. E' solo una compagna, una estensione della mia anima, e come essa può essere graffiata, ammaccata, può arrugginire, può essere rubata, ma non essere distrutta. Alle sette di mattina  la stavo prestando, la stavo mettendo nelle mani di un perfetto sconosciuto che poteva avermi raccontato solo un sacco di cazzate. L'auto potreva essere rubata e io sono troppo sentimentale: chi guida una Prinz deve essere per forza una brava persona, come mio padre. L'uomo con i baffetti prende la chiave e il biglietto, se li infila in tasca ed esita un attimo nel prendere la bici appoggiata al palo. La prendo io e abbasso il sellino.
"Prendi la prima a destra e alla rotonda prendi la seconda uscita, poi sempre dritto".
Lui mi guarda con il manubrio della mia bici tra le sue mani.
"E la macchina?"
"Conosco un meccanico che può darci una occhiata..."
Mi allunga lentamente la chiave dell'auto. La riconosco. E' una inconfondibile chiave da Prinz. La prendo con delicatezza, come se il metallo potesse spezzarsi o peggio sciogliersi nelle mie mani. Abbasso la chiave per metterla in tasca e dietro di essa mi appaiono gli occhi dell'uomo con i baffetti. Ci guardiamo dalle sponde opposte del mondo.
"Mi chiamo Amrit" mi dice. "Io Bartolomeo" gli rispondo. Mi sorride e inforca la bici. Le prime due pedalate sono incerte. Sento una fitta al cuore. Poi Amrit si sistema meglio sul sellino e parte spedito. Si volta un attimo e mi saluta con la mano.
Eccomi qui alle sette e dieci di una mattinata fredda con in tasca le chiavi dell'auto della mia infanzia e un vuoto tra le cosce. La mia bici mi manca già. Tiro fuori la chiave della Prinz, leggera come una piuma e la lancio in aria come una moneta. Nè testa, nè croce. Mi incammino cosi verso il mio meccanico di fiducia. In realta il mio meccanico di fiducia lavora per il padrone di un autorimessa. E' un meccanico bravo e abbastanza vecchio da ricordarsi come è fatta una Prinz. Il suo datore di lavoro è un altro simpatico meccanico, spesso fiscalmente neutro. Si fa pagare quasi sempre in contanti, odia carte di credito e bancomat. Sarà allergico alla plastica. Non a quella che sua moglie si è fatta impiantare sotto gli zigomi. Ma io non cerco lui, cerco il vecchio Giuliano.
Entro nel grande garage che puzza di olio per motori. Mi si fa incontro il titolare con una tuta grigia senza una macchia e l'espressione interrogativa. Chiedo di Giuliano. Senza parlare mi indica il fondo del garage. In uno stanzino puzzolente trovo Giuliano nella sua tuta blu, sporca di olio e di tutti i fluidi vitali di un'auto.
Sente i miei passi e alza la testa dal  pezzo meccanico che stà smontando appoggiato ad un tavolaccio. Ho la luce alle spalle, non mi riconosce.
"Buongiorno Giuliano, come va?"
Riconosce la voce e mi sorride,. Siamo andati sempre d'accordo: è un uomo per bene e di buon senso e un eccellente meccanico, un gran lavoratore, anche perchè ha sempre fatto solo quella dall'età di tredici anni.
"Ah, dottore...buongiorno...e che le devo dire? Alla mia età...è già tanto se respiro... "
Vanità maschile. Vorrei invecchiare io come lui, è ancora lucido e forte come un toro anche se si avvicina ai settanta, non è un tipo da nipotini, che non ha, nè da molliche ai piccioni al parco.
"Senta Giuliano...ho questa auto con un problema, ferma qui vicino...". Estraggo la chiave dalla tasca e gliela allungo. Prima di afferrarla Giuliano si pulisce la mano sulla tuta, l'afferra e la osserva come se fosse un gioiello. "Ma è una Prinz! Ma come..."
"Una lunga storia Giuliano...mi ci può dare una occhiata?"
Il suo sguardo si illumina. "Subito dottore... subito...prendo gli attrezzi!". In venti secondi stiamo già uscendo dal garage a passo spedito. Il padrone del garage ci vede uscire e ci viene dietro.
"Giuliano! Giuliano! Dove vai?"
Giuliano non si volta nemmeno. "Ho da fare...".
Il meccanico con la tuta immacolata e i contanti in tasca resta sull'uscio del garage mentre noi giriamo l'angolo. Andiamo a trovare una vecchia signora malata. E' un atto di carità cristiana. Chi può criticarci?
Arriviamo all'auto in pochi minuti e lì perdo Giuliano. Appena vede la Prinz caffellatte sorride come se avesse visto una sua vecchia fiamma e improvvisamente capisco che il mio meccanico è completamente affascinato. Prende la chiave, apre la porta e prova a mettere in moto. Niente. Esce e da un'occhiata al motore. Vi immerge le mani come un chirurgo nell'addome di un malato. Scuote la testa, poi sorride, poi sbuffa, parla da solo, si lamenta con qualcuno di invisibile, poi sorride di nuovo...io lo osservo e ho continuato ad osservarlo in silenzio per un'ora, saltellando da un piede all'altro per riscaldarmi. Il mio cellulare ha squillato una decina di volte. Ho dovuto inventare dieci diverse balle coerenti. Molta fatica. Alla fine la Prinz è tornata in vita con un forte colpo di tosse. Giuliano sorrideva beato.
"Grazie Giuliano. Quanto le devo?"
"Niente dottore, niente...è stato un piacere..."
Sorrido anche adesso a ripensare alla sua faccia contenta e un pò malinconica. Sorrido e  guardo fuori dalla finestra della mia cucina. La mia bici dorme sotto la tettoia, giù in cortile.

Monday, January 7, 2013

Eppure...

 Eppure è possibile. Nonostante tutto è possibile. Incredibilmente è possibile. Against all odds. Si può fare. SI...PUO'...FARE!!! (vedi Frankstein junior).
Si può sentirsi felici anche se non ci sono motivi per esserlo. Si può essere felici senza ragione. Ma è davvero necessaria una ragione per essere felici? Allacciate le cinture di sicurezza: sto per porre la domanda che tutti si aspettano a questo punto. Cos'è la felicità?
E chi se ne frega di rispondere?
Meglio chiedersi: sono felice? Ok, lo chiedo allo specchio: sei felice?
E perchè non dovrei esserlo? Respiro, mangio, dormo, faccio l'amore, vado in bici, bacio, scrivo, lavoro, guardo, vedo, cammino, salgo le scale due gradini alla volta, innaffio piante, dormo in un letto, mai da solo, sogno, guido l'auto,non fumo, passo sotto i rami degli alberi, mi rado e mi profumo, leggo, mi annoio, gioco, corro, mi sveglio presto, ascolto la musica, parlo, rido, sospiro, mi arrabbio, mi incazzo, urlo, dentro e fuori, spengo la tivu, accendo la tivu, mi siedo sul divano, mi sdraio sul divano, mi sollevo rapido dal divano, mi ricordo, mi dimentico, cerco il mio orologio per dieci minuti, ritrovo quello che pensavo di aver perso, perdo quello di cui non me ne frega niente, cambio piano tariffario al mio cellulare, aggiungo nomi in agenda, scrivo appunti, segno appuntamenti, cambio penna, guardo le previsioni del tempo, solo quelle serie,  e le verifico la mattina presto, bevo caffè, sorseggio latte e caffè, faccio raffreddare una tisana, stringo mani, accarezzo guance, abbraccio, cambio camicia e anche le mutande, lavo i denti, annodo la cravatta, la riannodo, la cambio, svuoto le tasche, le riempio, non trovo le chiavi giuste, apro lento, chiudo veloce, pago conti, mando bonifici, apro lettere, chiudo finestre, sbadiglio, lascio che il mio cuore batta...perchè non dovrei essere felice? Perchè non dovrei ridere stamattina e anche stasera e anche domani? Perchè non dovrei giocare con le mie bambine ed imparare da loro e dal gatto giù in cortile? Perchè non dovrei fare come questa iena? Ah felicita' su quale treno della notte viaggerai
lo so che passerai ma come sempre in fretta non ti fermi mai...
Non è vero Lucio, e lo sai. Bentornati e buon 2013.
B